sabato 28 febbraio 2015

Dom Gérard, un uomo di luce

Fr. Étienne O.S.B.
[Oggi 28 febbraio 2015 ricorre il settimo anniversario della morte di Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux. Lo ricordiamo nelle preghiere e lo raccomandiamo a quelle dei lettori. Offriamo di seguito la testimonianza letta da fr. Étienne O.S.B. – uno dei primi monaci a seguire il fondatore nell’avventura monastica di Bédoin e poi di Le Barroux – il 3 marzo 2008, in occasione delle esequie di Dom Gérard. Testo comparso in Reconquête. Revue du Centre Charlier et de Chrétienté-Solidarité, n. 247-248, aprile-maggio 2008, pp. 9-10, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

Tutti quelli che hanno avuto l’occasione d’incontrare Dom Gérard sono rimasti sedotti dalla sua personalità luminosa, in cui dominava la benevolenza e la gioia. Una grande benevolenza verso le persone e una gioia sovrana, che non può venire che da Dio. Aggiungiamo, una meravigliosa libertà d’animo, come un dono del Cielo.
È d’altro canto ciò che mi aveva colpito sin dal mio arrivo a Bédoin, nell’estate 1977. Superando il portone d’ingresso del piccolo priorato, lo rivedo ancora con le braccia aperte ad accogliermi. Ebbi il vivissimo presentimento di essere in presenza di un uomo eccezionale, senza artifici, senza vanità, un uomo di luce e di libertà interiore.
Sì, Dom Gérard sapeva di essere l’erede di una grande tradizione monastica, fonte di civiltà. I punti d’appoggio del suo universo sono delle colonne incrollabili, e attraverso la Regola di san Benedetto e il suo amore per la santa liturgia, si comprendeva che abitavano quest’intelligenza una sapienza antica, una grande filosofia e lo splendore della verità. La fede era per lui una certezza così assoluta come la visione.
Nessuna mediocrità, né verso sé stesso, né verso gli altri: non la sopportava. Esigenze di rigore, di perfezione, di assoluto. Ugualmente, esigenze d’artista. Poiché tutti coloro i quali l’hanno conosciuto sanno che egli era per temperamento un artista, un artista di gran classe, un autentico creatore di eventi, che gioca con il mondo, l’universo, gli uomini e la materia, secondo i doni di Dio, la sua provvidenza e la sua grazia. Come André Charlier, il suo maestro, egli voleva “creare delle condizioni tali per cui l’anima possa fiorire”.
La sua opera, come un monumento sotto i nostri occhi, attesta la forza delle sue intuizioni e del suo genio creatore. Il nostro monastero si eleva nel cielo di Provenza con la sua chiesa abbaziale di grande nobiltà architettonica, la cui purezza e semplicità delle linee la rende degna delle chiese cistercensi. Ogni mattino, attraverso la luce delle finestre, i riflessi del sole vengono come a illuminare questo monumento di preghiere e a dargli tutto il suo significato. Questa sinfonia di luce sui marmi del santuario attorno all’altare, questo arcobaleno all’ora del santo sacrificio della messa, è stato Dom Gérard – artista – a volerlo.
Quest’uomo di desiderio (desiderio desideravi) energico, assoluto, si scontrava talora con le lentezze di questo mondo, con la pesantezza o la pigrizia degli uomini. Volentieri, allora, forzava i tempi e le situazioni, e soprattutto superava gli ostacoli con coraggio, spingendo gli avvenimenti, creando il miracolo al fine di agevolare, se possibile, il trionfo del Regno dei cieli nelle anime.
Gli sono state rimproverate alcune parole, taluni gesti profetici, ma ciò voleva dire dimenticare “che eravamo in tempo di guerra e di legittima difesa”; voleva dire dimenticare che ci sono delle verità essenziali che ogni battezzato ha il dovere di difendere; soprattutto voleva dire dimenticare che ci sono delle situazioni in cui “il credente si deve fare guerriero, obbligatoriamente, e che questa è la prima carità”.
Dom Gérard amava Cristo e la Chiesa; insensati tutti coloro che lo dubitano. Amava le anime e la Francia; tutta la sua vita lo prova. Ha fatto di tutto per ricostruire la cristianità e riconciliare, se possibile, gli uomini fra loro. Ahimè, nel 1988 ha fatto l’esperienza dello scacco e della sofferenza. Nella tempesta che agitava la Chiesa, avrebbe voluto evitare il naufragio di tanti fratelli e amici. Ma “quando vi è un’eclissi, tutto il mondo è nell’ombra”. Anche le vette delle montagne sono nell’ombra. Malgrado ciò, Dom Gérard non sopportava di essere nell’ombra. Se talora si nascondeva, era nella luce. “Pax in lumine” fu la sua scelta e il suo programma per i suoi figli nel chiostro. Li voleva erigere stabili, incrollabili al servizio della santa Chiesa, nella pace e nella luce, al di sopra, al di là degli avvenimenti e delle controversie in cui si affannavano le genti del secolo. “La luce è misericordiosa, la luce non condanna, essa chiarisce, trasforma…”; “tutta la vita cristiana consiste nel trasformare la luce in amore”.
Personalmente, dopo più di trent’anni, rimango abbagliato dal canto virginale che si elevava  da quest’anima. Testimone dell’avventura di Bédoin e della fondazione di Le Barroux, conservo nel mio cuore come la purezza d’un canto mistico che è assai raro ascoltare. In questo, collego volentieri Padre Gérard alla grande scuola mistica degli antichi monaci, con san Gregorio di Nissa, sant’Agostino che egli amava tanto, san Bernardo e la sua teologia dell’immagine.
Dom Gérard era un contemplativo super attivo. Apparteneva assai più a quelli che aderiscono, piuttosto che a quelli che analizzano. Come san Bernardo, voleva entrare nella carità di Cristo crocifisso, risuscitato, glorificato. Per lui, “la vita interiore, è Cristo, l’uomo Dio, ed è tutto. Non occorre cercare null’altro: Cristo è Dio manifestato”.
Se Dom Gérard era come il cantore della cristianità, il poeta della grazia e della liturgia, il teologo della luce, egli rimarrà, per ciascuno dei suoi figli nel chiostro, un padre pieno di tenerezza e benevolenza, un padre affettuoso che c’insegnava in parole e in atti lo spirito d’infanzia, il Vangelo, l’abbandono, la confidenza in Dio.
La sua grazia particolare fu probabilmente questa gioia sovrana, questa trasparenza, questa capacità di meravigliarsi davanti al reale, alle opere di Dio e della creazione. Sapersi dimenticare nell’ammirazione è un dono di Dio assai raro. “Se volete essere felici – ci diceva –, occorre interiorizzare la vostra gioia, ed è il segreto di tutta una vita”.
Interiorizzare la propria gioia… ecco non soltanto un consiglio di vita spirituale che egli dava volentieri, ma una vera confidenza, e una confidenza essenziale per tutti quelli che desiderano conoscerlo. Senza volerlo, egli si dona a noi… “interiorizzare la propria gioia”. Tuttavia vi chiedo, cosa rimane in effetti della primavera della sua gioventù se non questa gioia così pura, così limpida, come un dono di Dio nella sua anima? Un dono di Dio e della Vergine Immacolata. “Per te Virgo”.
No, non credo di sbagliarmi dicendo che la Vergine Maria era la fonte profonda della gioia del suo cuore, e forse il segreto di questa vita così feconda. “Per te Virgo”, la sua divisa abbaziale, illumina l’intera sua vita come la stella del mattino in un cielo soleggiato d’oro. Sì, ci confidava, “il Cuore immacolato di Maria è un grande santuario”.
Dio viene a chiamare a sé l’anima di Dom Gérard. Voi, nostri amici e amici di Dom Gérard, ascoltate bene. Dio creatore del mondo ci ama oggi come il primo giorno della creazione. Dio ha creato i corpi e le anime per la sua gloria eterna. L’anima umana, quando abbandona il corpo, come un sole abbagliante, illumina con la sua partenza i giardini degli uomini. L’anima di Dom Gérard non cessa di abbagliarci.
Sì, nell’ora in cui Dio viene a chiamare a sé l’anima di Dom Gérard, preghiamo per lui, e ugualmente preghiamo con lui per tutte le grazie ricevute e per le grazie ancora da ricevere, se davvero come lui vogliamo stabilire il regno di Cristo Dio su questa terra.

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sabato 21 febbraio 2015

Alcuni spunti per la Quaresima

Ai lettori che ci riservano la cortesia della loro attenzione, desideriamo fornire alcuni richiami che abbiamo pubblicato nel corso di questi sette anni, volti a permettere di trarre qualche spunto utile per la vita interiore durante il presente tempo quaresimale.

Lorientamento generale ci è dato dal capitolo XLIX della Regola di san Benedetto, "De Quadragesimae observatione", cui anzitutto rimandiamo.

Traendo spunto dalle preghiere della Messa nella prima domenica di Quaresima, Dom Gérard Calvet O.S.B., fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, nello scritto "Salmo 90. Il combattimento spirituale" ci offre una meditazione alla sequela di san Bernardo.

Riprendendo linsegnamento di san Benedetto e della sua Regola, lo stesso Dom Gérard, in "Nella gioia del più intenso desiderio spirituale", desidera farci conoscere lessenza della spiritualità quaresimale cui deve tendere il desiderio dell’anima: lattesa della Pasqua.

Sempre alla scuola di san Benedetto, prezioso è lintervento di Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, che ci esorta a "Un buon proposito per la Quaresima".

Linsegnamento dei Padri della Chiesa emerge dalla "Catechesi pacomiana sulla Settimana Santa" di san Pacomio, come pure da alcune istruzioni tratte dalle Istituzioni cenobitiche di san Giovanni Cassiano, contenute nella pagina "Per la Quaresima: il digiuno".

Labbadessa Anna Maria Cànopi O.S.B. prosegue con una meditazione sul capitolo XLIX della Regola di san Benedetto, offrendoci un commento sul tema "Per la Quaresima: la lectio divina".

Altrettanto profonde, e pienamente radicate nella spiritualità benedettina, sono le esortazioni del beato Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B., che in "La Pasqua nostra" ci mostra come lintera vita ascetica è una preparazione alla Pasqua dellanima, ossia alla sua resurrezione in Cristo.

Potremo poi rileggere la meditazione di Benedetto XVI "Grande silenzio perché il Re dorme", offerta alle monache e ai fedeli in venerazione davanti alla Santa Sindone, il 2 maggio 2010.

Infine, quando sarà il momento del Sacro Triduo, potremo dedicarci a una meditazione per immagine, che ci è offerta dal quadro Agnus Dei del pittore spagnolo Francisco de Zurbarán.

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mercoledì 18 febbraio 2015

De Quadragesimae observatione

Anche se è vero che la vita del monaco deve avere sempre un carattere quaresimale, visto che questa virtù è soltanto di pochi, insistiamo particolarmente perché almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell’anno. E questo si realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per esempio, preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio “con la gioia dello Spirito Santo” qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po’ di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo, e così attenda la santa Pasqua nella gioia del più intenso desiderio spirituale. Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire personalmente a Dio dev’essere prima sottoposto umilmente all’abate e poi compiuto con la sua benedizione e approvazione, perché tutto quello che si fa senza il permesso dell’abate sarà considerato come presunzione e vanità, anziché come merito. Perciò si deve far tutto con l’autorizzazione dell’abate.

[Regula Sancti Benedicti, XLIX]

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lunedì 16 febbraio 2015

Un bianco mantello

«Quando si scoprono nella storia le migliaia di monasteri che ricoprivano il mondo cristiano come di un bianco mantello”, non ci si può trattenere dal porsi una domanda: cosè che ha potuto motivare milioni di giovani, spesso brillanti e pieni di avvenire, a lasciare il mondo per rinchiudersi in una vita da monaci, povera e nascosta? San Benedetto ci dà la risposta nella sua Regola: è la sete. La sete di non essere nulla affinché Dio sia tutto. In effetti, la Regola non domanda che una sola cosa al giovane che vuole essere monaco: se egli cerca veramente Dio (RB 58,7)I monaci hanno fatto l’Europa, ma non l’hanno fatta consapevolmente. La loro avventura è anzitutto, se non esclusivamente, un’avventura interiore, il cui unico movente è la sete. La sete d’assoluto. La sete di un altro mondo, di verità e di bellezza, che la liturgia alimenta, al punto da orientare lo sguardo verso le cose eterne; al punto da fare del monaco un uomo teso con tutto il suo essere verso la realtà che non passa. Prima di essere delle accademie di scienza e dei crocevia della civiltà, i monasteri sono delle dita silenziose puntate verso il cielo, il richiamo ostinato, non negoziabile, che esiste un altro mondo, di cui questo non è che l’immagine, che lo annuncia e lo prefigura».

Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008)

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martedì 10 febbraio 2015

Preghiera a santa Scolastica

Santa Scolastica,
ricordati dell’albero sotto i cui rami si rifugiò la tua vita. Il chiostro benedettino t’invoca non solo come la sorella, ma anche come la figlia del suo augusto Patriarca. Dall’alto dei cieli contempla i resti dell’albero, un tempo così vigoroso e fecondo, all’ombra dei quale le nazioni dell’Occidente si riposarono per lunghi secoli. In ogni parte la scure distruggitrice dell’empietà si divertì a colpire: rami e le radici. Ovunque sono rovine, che coprono il suolo dell’Europa intera.
Ciò nonostante, sappiamo ch’esso dovrà rivivere e che germoglierà di nuovi rami, perché il Signore ha voluto legare la sorte di questo antico albero agli stessi destini della Chiesa. Prega, affinché riviva in esso la prima linfa, proteggi con materne cure le tenere gemme che produce; difendile dalle tempeste, benedicile e rendile degne della fiducia che in esse ripone la Chiesa.
Amen.

[Preghiera a santa Scolastica per l'ordine benedettino e per l'Europa di Dom Prosper Guéranger O.S.B. (1805-1875)]





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domenica 8 febbraio 2015

Una madre del deserto nel cuore di Roma


«Vieni con me nel deserto»: è la voce che sente una giovane americana di origini italiane, Julia Crotta, musicista, sportiva – è molto alta e gioca a basket da campionessa –, studentessa modello. Julia ha ventisette anni, sta partecipando quasi per caso a un ritiro spirituale in preparazione alla Pasqua e vive quella che definirà una nox beatissima, un’esperienza che cambia il corso della sua vita, durante la quale Gesù in persona la chiama a fargli compagnia nel deserto e il cui esito finale saranno quarantacinque anni di reclusione monastica. Non capisce subito cosa le è richiesto e non sa davvero come metterlo in pratica. Valuta anche la possibilità di recarsi materialmente nel deserto della Palestina, ma ha l’equilibrio e il buon senso di ascoltare fedelmente i consigli del proprio direttore spirituale. «Non mi fido assolutamente di quanto provo, anche quando credo che venga da lui [Dio]. Mi fido invece di chi parla nel suo nome», scriverà anni dopo. Anche in seguito, nei lunghi anni di prova spirituale, quando ogni tentativo di seguire la sua particolarissima vocazione sembra destinato a fallire, Julia non farà mai nulla, non prenderà decisioni, senza il consenso del proprio direttore spirituale, che per lei rappresenta la voce della Chiesa e, in ultima istanza, la voce di Cristo in terra. Julia è tanto decisa nel perseguire il proprio dovere, quanto è docile nel cambiare i propri piani quando è certa di fare la volontà di Dio: «Le parole di Dio trapassano come un lampo potente. Senza che neppure ci si accorga, si fa quanto comandano».
Passeranno undici anni da quella prima chiamata al deserto, senza che Julia mai abbandoni il suo proposito e mai scalpiti per fare di testa sua. Riuscirà infine a trovare la sistemazione che desidera a Roma, presso il monastero di Sant’Antonio abate, come reclusa dell’ordine camaldolese. Il 21 novembre 1945 Julia viene ricevuta da papa Pio XII, il quale le dà la sua benedizione, legge il regolamento di vita che Julia ha stilato per la propria reclusione, teme che sia troppo esigente per la giovane donna, ma alla fine l’approva. Subito dopo monsignor Giulio Penitenti, che si è occupato della sua sistemazione, accompagna Julia nella cella dalla quale non uscirà più fino alla fine della sua vita. Di questo momento Julia scriverà: «Capii che egli mi offriva a Dio per tutta la Chiesa».
Per tutta la vita Julia, ormai suor Maria Nazarena, sarà una donna forte, equilibrata, allegra, così la descrivono le uniche persone con cui ha rarissimi contatti: padre Anselmo Giabbani, a lungo Procuratore generale dell’Ordine camaldolese e suo padre spirituale fino alla fine della vita, e la Madre Abbadessa del monastero presso cui risiede.
«Mai, in questi 43 anni, ho provato tristezza, noia; al contrario una gioia sempre nuova, che non perde la sua freschezza. Come quella dell’eternità», scrive suor Nazarena un paio d’anni prima di morire, nei ricordi autobiografici estesi su insistenza del padre Giabbani. Allo stesso padre sono indirizzate gran parte delle sue lettere, nelle quali suor Nazarena alterna una devozione filiale al suo direttore spirituale a numerosi consigli fraterni, che riguardano la vita dello spirito, la riforma dell’Ordine camaldolese, i rapporti di padre Giabbani con i confratelli.
L’ordine camaldolese è sin dalle sue origini, per volontà del suo fondatore san Romualdo, diviso in un ramo cenobitico e in uno eremitico e nella sua lunga storia si contano numerosi casi di veri e propri reclusi. Suor Nazarena è consapevole della straordinarietà della propria vocazione e consiglia che il responsabile dell’Ordine ottenga dai suoi monaci con la dolcezza e con la persuasione quei sacrifici e quell’austerità di vita ai quali lo spirito si ribellerebbe, se fossero imposti con la forza. Sa bene che neppure la vita eremitica può essere indistintamente allargata a tutti i monaci e soprattutto che non ci si può arrivare se non dopo un lungo percorso di preparazione spirituale. Tale preparazione era avvenuta per lei grazie al crogiolo di sofferenze attraverso cui era passata durante gli undici anni intercorsi tra la chiamata al deserto e il suo ingresso nella cella di reclusione. Aveva tentato alcune comunità religiose molto rigorose, come era allora il Carmelo, ma l’evidente distanza tra la vita che vi si conduceva e la percezione interiore della propria vocazione l’avevano portata a uno stato di consunzione tale da far temere per la sua salute. Nazarena però sa che non avrebbe potuto affrontare la solitudine, i rischi di desolazione e di esaltazione che comporta, il rischio fortissimo di illudersi circa la propria condizione spirituale, senza essere passata in precedenza da un lungo periodo di prova.
La regola di vita di suor Nazarena è molto rigorosa: vive in una cella di cinque metri per tre, dorme, senza materasso e cuscino, su una cassapanca di legno a cui è stata inchiodata una croce, lavora alcune ore al giorno intrecciando le palme che si distribuiscono nel periodo di Pasqua, ha momenti di preghiera, di studio e di lectio divina, partecipa alla Messa da una finestrella con grata, attraverso la quale riceve la comunione, ha un regime alimentare a pane e acqua quasi tutti i giorni della settimana (alcuni giorni si aggiungono un cucchiaino d’olio, un po’ di frutta o di verdura, o ancora un poco di marmellata), ulteriormente inasprito in quaresima e nei tempi penitenziali della Chiesa. Eppure sarà sempre sana, equilibrata, di buon umore. Nazarena, che da giovane aveva avuto un appetito robusto, scrive: «Soffro la fame (e ne sono contenta; altrimenti non avrei nulla da offrire), ma è sopportabile».
La chiave della vita di suor Nazarena è un’offerta totale di sé, in unione alle sofferenze di Cristo, per il bene delle anime e della Chiesa, ma nel totale nascondimento: «La supplico di non dire più nulla di me, lasci cadere tutto nel vuoto, nel silenzio. Credo che l’ora di Dio sia ancora molto lontana. Ho l’impressione che scoccherà solo dopo la mia morte».
Le sue lettere, i suoi ricordi autobiografici, riportano un’esperienza fuori dal tempo, con parole e accenti che richiamano quelli dei padri del deserto, una profonda conoscenza della Bibbia e della patristica traspare anche attraverso l’italiano talora incerto che usa.
Suor Nazarena muore a 82 anni, nella sua cella, esattamente venticinque anni fa, il 7 febbraio 1990, proprio il giorno in cui i benedettini camaldolesi fanno memoria di san Romualdo: attorno a lei sono riunite le monache sue consorelle, molte delle quali la vedono in volto per la prima volta. Dopo poche ore di malore, ricevuta la benedizione di padre Giabbani, viene portata una poltrona nella cella – per quarantacinque anni non aveva mai avuto né una sedia né un tavolo – per permetterle di respirare meglio, la comunità la raggiunge e la circonda, cantando l’inno Canta la sposa.
«Vedo che non ho altro da offrire a Dio, all’Ordine, alla Chiesa, che un grande dono di Dio che mi può essere tolto ogni momento: una speranza senza limiti nell’amore, nella potenza, nella misericordia infinita di Dio e nella Regina e Madre celeste. Speranza che mi ha dato la forza durante tutti questi anni di dire sempre “Ora comincio”».

[Articolo di Daniela Bovolenta comparso sul quotidiano La Croce del 7 febbraio 2015]

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venerdì 6 febbraio 2015

Nazarena - Nel 25° anniversario della sua salita al Cielo

Il giaciglio sul quale dormiva suor Nazarena
Il 7 febbraio 2015, nella gioiosa memoria liturgica di san Romualdo, ricorre il 25° anniversario della morte - o per meglio dire, della salita al Cielo, come la speranza cristiana c'induce a ritenere con fiduciosa certezza - della monaca reclusa di origini statunitensi suor Maria Nazarena O.S.B. Cam. (Julia Crotta, 1907-1990), avvenuta per l'appunto il 7 febbraio 1990 nel monastero camaldolese Sant'Antonio Abate di Roma, sull'Aventino, dove ella visse la sua esistenza nella reclusione, dal 1945 fino alla morte.
Già in passato abbiamo detto del senso di vertigine umana e spirituale con il quale ci si accosta alla storia di questa "Madre del deserto" del secolo XX. A maggior ragione desideriamo farlo nuovamente in questo 25° anniversario, con l'augurio che si diffonda sempre più la conoscenza e l'amicizia spirituale con questa straordinaria figura di santità, della quale invochiamo l'intercessione.
Lo facciamo riproducendo un brano del suo racconto autobiografico - scritto nel 1989, all'età di 82 anni (riprodotto nel prezioso volume a cura di Emanuela Ghini, Oltre ogni limite. Nazarena monaca reclusa. 1945-1990, Edizioni OCD, Roma 2007, p. 25) -, nel quale suor Nazarena ricorda l'evento che segnerà per sempre la sua vita, quando all'età di 27 anni si sentì chiamata da Gesù al deserto, e ricevette la grazia di corrispondere a una vocazione di assoluta radicalità evangelica.
Altresì, con un po' di pudore desideriamo oggi condividere un inedito portfolio fotografico, che documenta gli spazi, gli arredi e gli indumenti - segni materiali, ma indubbiamente anche di una precisa geografia spirituale - entro e con i quali Nazarena visse la sua reclusione monastica e terminò i suoi giorni sulla terra, fino a consegnarsi per sempre alle braccia dello Sposo, il Signore Gesù.

Era il 1934, durante le vacanze pasquali. Una notte, che fu per me una nox beatissima, Dio mi accordò una grazia immensa, che trasformò all'istante tutta la mia vita. Per alcuni giorni fui come rapita, fuori di me. Mi sentivo in un universo nuovo. Avrei voluto fuggire lontano da questo mondo e da tutto il suo vuoto per seppellirmi per sempre nel deserto, sola con Dio solo. Da quella notte il deserto è rimasto per me una realtà misteriosa che m'incanta e mi attrae con straordinaria potenza.

La cella di Nazarena. Sul fondo, oltre la porta, il vestibolo presso il quale sostava il confessore
o la Madre, e dove veniva depositato il cibo (regime alimentare a digiuno perpetuo)

Gli occhiali di suor Nazarena e una Bibbia commentata da lei usata

Le calzature indossate da suor Nazarena

L'abito della reclusa, di tela grezza

La cella vista dal vestibolo. Sullo sfondo, la porta dalla quale suor Nazarena accedeva allo stanzino per assistere alla Messa



Esempi del lavoro manuale con le palme che suor Nazarena ha svolto durante i 45 anni di reclusione monastica

Lo stanzino dal quale suor Nazarena assisteva alla Messa

Il mobiletto dei libri e la cassapanca per i materiali di lavoro di suor Nazarena

La visuale dalla cella di suor Nazarena, sull'Aventino. Sullo sfondo, il Circo Massimo




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