lunedì 17 dicembre 2012

L’uomo e il rito

In tutti i Paesi del mondo, prima d’imparare a leggere e scrivere, i bambini giocano, cantano, evocano grandi misteri, battono le mani e fanno girotondi infantili scanditi da regole precise, senza sapere che così esprimono qualcosa di eterno. In tutti i tempi, l’uomo ha provato il bisogno di circoscrivere la sua gioia e la sua libertà nel tracciato di una figura perfetta che è l’immagine dell’eternità. Attirati dal cerchio come da un amante, gli uomini dell’antichità vi leggevano la grande legge dell’universo, il ritorno ciclico di stagioni e di astri al quale la vita era sottomessa come a una regola di suprema armonia, ma dalla quale non potevano evadere: il fatum, espressione sacra del destino. Gli Indiani, traviati da una falsa metafisica ma inventori d’ingegnose parabole, hanno anch’essi fatto ricorso alla figura circolare per esprimere la loro visione del mondo: è il giro dei Maya, danza vorticosa d’illusioni, che attira tutto in un perpetuo divenire e alla quale il saggio deve sfuggire.
Il tema del cerchio sarà ripreso in un’ottica cristiana dall’architettura romanica, come un ruscello di simboli e ispirato questa volta da un potente realismo, giacché non si tratterà più di esprimere la ruota di apparenze che sfuggono, ma lo svolgersi esatto di una parabola del Regno: sotto la volta immobile rappresentante il cielo, l’altare sarà situato al centro di un emiciclo che si prolunga in cappelle a raggiera. Gli officianti, circumstantes ante thronum, rappresentano il grande Panegirico della Chiesa trionfante, la Gerusalemme celeste, di cui la nostra liturgia non è che l’umile e preziosa rifrazione. Posti attorno all’altare, in un ordine che richiama le sante gerarchie, i ministri sacri, vestiti dell’alba nuziale, esprimono la loro tranquilla certezza di appartenere a un altro mondo e la loro fede nella consistenza delle promesse.
 
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), La santa liturgia, trad. it., Nova Millennium Romae, Roma 2011, pp. 33-34]

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