martedì 19 settembre 2023

Giubileo del Sacro Cuore

Qualche mese fa, padre Étienne Kern, rettore del santuario di Paray-le-Monial, è venuto in abbazia per annunciare l’apertura di un giubileo delle apparizioni del Sacro Cuore a santa Marguerite-Marie. Il rettore ha voluto incontrarmi di persona perché desiderava invitare il maggior numero di persone possibile, senza dimenticare i fedeli legati all’antica liturgia. Il 27 dicembre, Mons. Rivière celebrerà la Messa inaugurale di questo giubileo, a 350 anni dalla prima apparizione. Il giubileo proseguirà fino al giugno 2025 e si concluderà con una Messa pontificale celebrata nella festa del Sacro Cuore da Mons. Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’evangelizzazione.
Padre Kern ci assicura che siete tutti benvenuti, individualmente o in associazione, e che Mons. Rivière, Vescovo di Autun, ha autorizzato la celebrazione secondo la forma antica. È un segno della bontà del Signore che, dopo le grandi preoccupazioni degli ultimi anni, è venuto a consolarci incoraggiandoci a ripartire in questa grande unità di una stessa fede vissuta in modi diversi. Non è stato forse il Sacro Cuore di Gesù a versare sangue e acqua sul mondo? Non solo acqua, ma anche sangue. La storia della Chiesa dimostra che ci sono sempre state scuole di pensiero e di teologia diverse: Alessandria non era Antiochia, gli orientali non sono occidentali ma, come diceva san Giovanni Paolo II, la Chiesa ha due polmoni. Per noi che attualmente avanziamo su una linea sottile nel nostro attaccamento alla Santa Sede e alla liturgia tradizionale, questo pellegrinaggio a Paray-le-Monial è un invito del Signore a riprendere questo grande lavoro di unità, un’unità che deve avvenire con maggiore altezza, profondità e larghezza.
Non dimentichiamo che questo Cuore ferito e lacerato, che ha smesso di battere sulla croce, ha ripreso a vivere dopo l’apertura operata dalla lancia del soldato: non più per irrigare il corpo fisico di Cristo, ma per vivificare il suo Corpo Mistico, che è la Chiesa, attraverso l’acqua del battesimo e il sangue dell’eucaristia. Questo Cuore divino è la fonte e il culmine della vita cristiana: le nostre lotte non possono portare frutto se non scaturiscono dalla Sua grazia e non ritornano a Lui.
Esorto tutti i fedeli, specialmente quelli che sono preoccupati per le “nuove vie della Chiesa”, quelli che si sentono totalmente sopraffatti, quelli che sono scoraggiati e quelli che si preparano a combattere, ad approfittare di questo giubileo per trovare luce e forza. Il tempo non è contro di noi, perché c’è la grazia di Dio. Il Sacro Cuore non è una storia del passato, ma una realtà radicata nell’eternità di Dio. Lo stesso Baudelaire, nella sua poesia L’Horloge, ammetteva che “i minuti, mortale pazzerello, sono ganghe da non farsi sfuggire senza estrarne oro!”. Spero che questo giubileo sia per tutti voi come un nuovo Tabor, una vetta dove il Signore vi mostrerà la Sua potenza e la Sua bontà.
Uno dei misteri più belli della devozione al Sacro Cuore è mirabilmente riassunto nella colletta della Messa della festa. La preghiera della Chiesa ci indica una direzione in cui la riparazione rimane inseparabilmente legata alla carità. Inoltre, è il fervente omaggio della pietà che costituisce l’anima della riparazione. Non si tratta di farsi del male per compensare il male che si scatena nel mondo, e spesso nella nostra stessa vita, ma di riorientare la nostra anima verso Colui che è, ripeto, la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana. Nella sua enciclica Haurietis Aquas, Pio XII ci ricordava che la devozione al Sacro Cuore è la via più rapida e diretta per diventare santi, ma anche un cammino di vera conversione. La nostra conversione è urgente. Come possiamo voler salvare il mondo se non iniziamo a reindirizzare le nostre anime come una calamita verso il polo? Il modo migliore per riparare è fare del bene, e cominciare a conoscere e amare meglio il Signore, così ben raffigurato nel suo Sacro Cuore. La santità non è forse imitazione di Nostro Signore? Come possiamo imitarlo se non lo guardiamo con pietà? E non è forse proprio dal Sacro Cuore che santi come Madre Teresa hanno tratto la forza per fare tanto bene in modo così disinteressato? Sì, cento volte sì. Ebbene, allora! Andiamo a Paray-le-Monial e chiediamo al Signore questa carità, che vuole solo diffondersi nella storia.

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 187, 8 settembre 2023, pp. 1-2, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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mercoledì 30 agosto 2023

Diurnale monastico

“La Chiesa, madre e maestra, ci ha dato nella liturgia un metodo di educazione spirituale i cui principali benefici sono: il primato della contemplazione, il senso della Chiesa, il gusto della bellezza, l’amore della Regola, una soave attrazione del Cielo” (Dom Gérard Calvet O.S.B. [1927-2008]).

Fra il Natale 2014 e la Pasqua 2018, abbiamo avuto il piacere di mettere progressivamente a disposizione dei lettori di Romualdica – grazie al prezioso aiuto di valenti amici – alcuni fascicoli intesi come estratti del Breviarium monasticum del 1963, in latino con traduzione italiana a fronte, i cui file pdf rimangono a disposizione e sono raggiungibili nell’apposito riquadro in homepage. In quell’arco di tempo sono stati pubblicati i seguenti estratti dell’Ufficio benedettino: la Compieta, i Vespri domenicali, l’Ora Terza settimanale, l’Ora Sesta settimanale, l’Ora Nona settimanale, le Lodi domenicali (fuori del tempo pasquale) e le Lodi domenicali (nel tempo pasquale).
Accogliamo ora con sincera gratitudine la pubblicazione, per i tipi della casa editrice Monasterium (Cellio [VC] 2023, 288 pp., euro 23,00), del Diurnale monastico latino-italiano, sulla base del Breviario monastico del 1963 a uso benedettino, in forma abbreviata – ovvero privo del Temporale e del Santorale –, e che comprende l’ordinario delle Ore diurne, conservando l’andamento dei salmi stabiliti da san Benedetto nella sua Regola. La preghiera è suddivisa secondo le Ore liturgiche (Lodi, Ora Prima, Ora Terza, Ora Sesta, Ora Nona, Vespri, Compieta) e secondo il giorno della settimana, a partire dalla domenica e festivi, cui seguono i giorni feriali dal lunedì al sabato.
Come è precisato nella presentazione: “Questo Diurnale abbreviato rappresenta un utile sussidio per i fedeli in generale, e gli Oblati benedettini in particolare, affinché ci si possa unire ogni giorno alla grande preghiera solenne dei monaci. Nella ripetizione e meditazione di salmi e antifone si può trovare, infatti, il nutrimento quotidiano della propria anima”.
A maggior ragione un tale sussidio liturgico si potrà rivelare prezioso – e per questo se ne auspica un’ampia diffusione e utilizzo –, in quanto attraverso l’apposito link interno al sito Internet dell’Abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, è possibile seguire in diretta gli uffici liturgici monastici, cantati integralmente in gregoriano nella forma extraordinaria del Rito romano (Breviario monastico del 1963).

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mercoledì 23 agosto 2023

Dove Dio dimora


Don Johannes Maria Schwarz, nato nel 1978 nei pressi di Linz (Austria), ordinato sacerdote nel 2004 nell’arcidiocesi di Vaduz (Liechtenstein). Ha conseguito prima la Licenza e poi il Dottorato in Teologia presso la Facoltà Teologica di Lugano. Nel 2014 è stato nominato vicedirettore del Seminario Leopoldinum di Heiligenkreuz (Austria). Il 1° maggio 2013 è partito per un pellegrinaggio a piedi a Gerusalemme ed è tornato in Liechtenstein il 2 agosto 2014, dopo avere percorso circa 14.000 chilometri. Da quasi cinque anni conduce vita eremitica nelle vicinanze di Torre Pellice, in Piemonte, presso l’Eremo Sant’Onofrio, nel quale ha costruito la cappella ove celebra nella forma extraordinaria del rito romano.


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martedì 18 luglio 2023

Z come zelo - San Benedetto per tutti / 18 [fine]

Siamo zelanti nella nostra vita spirituale, cioè, in breve, nella nostra vita di carità? Questa domanda è essenziale poiché, secondo sant’Agostino, “un’anima senza zelo è un’anima senza amore”. È bene ripetere a noi stessi di tanto in tanto che la nostra carità vale concretamente quanto vale il nostro zelo nel praticarla. Questa convinzione non è meno viva per san Benedetto, che nel capitolo 72 – gioiello della Regola – esorta giustamente i suoi monaci alla pratica di questo zelo.
Per lui, essere zelante nell’amore del prossimo significa, molto concretamente: onorarlo, sopportarlo con molta pazienza in tutte le sue infermità fisiche o morali, servirlo, cercare il suo vantaggio piuttosto che il nostro, amarlo per sé stesso e non per quello che potrebbe darci in cambio. E quando questo prossimo ha su di noi un rapporto di autorità, amarlo ancora con una carità sincera e umile.
Essere zelanti nel nostro amore per Dio significa avere per Lui “un timore ispirato dall’amore”. Conoscere questo timore filiale che consiste nel non temere nulla tanto da rattristare, anche leggermente, un Dio-Padre infinitamente buono.
San Benedetto nota come ultimo segno del buon zelo: “Non antepongano assolutamente nulla a Cristo” (RB LXXII,11). Qui, mi sembra, abbiamo sia la chiave di volta sia il fondamento dello zelo a cui ci invita. Perché per san Benedetto andiamo a Dio attraverso Cristo che è la Via. Esortandoci a fare di Nostro Signore il nostro tesoro più grande, egli vuole avvicinarci allo zelo per eccellenza, affinché il suo zelo passi in noi. Lui il cui zelo per il Padre (“Lo zelo per la tua casa mi divorerà”, Gv 2,17) e per il prossimo (“avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”, Gv 13,1) è rimasto fino alla morte. Non illudiamoci: lo zelo a cui ci invita san Benedetto non può che essere quello di Gesù in noi. In altre parole, tale zelo si impara ai piedi del tabernacolo. E sappiamo, ci assicura san Benedetto, che ci condurrà, seguendo Cristo, “alla vita eterna” (RB LXXII,12)!
Cari amici, abbiamo appena terminato una lettura della Regola. Essendo la Regola inesauribile, potremmo benissimo iniziarne una seconda. Essendo questa lettera per voi, vi poniamo semplicemente la domanda: vorreste o meno che prosegua questa rubrica San Benedetto per tutti? Attendiamo il vostro parere alla mail: contact@la-garde.org.
Grazie a tutti.
Fr. Ambroise

[Fr. Ambroise O.S.B., “Saint-Benoît pour tous...”, La lettre aux amis, dell’Abbazia Sainte-Marie de la Garde, n. 44, 16 luglio 2023, p. 4, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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lunedì 12 giugno 2023

Tradizione, morte delle civiltà e passatismo

La scomparsa di questi costumi e tradizioni è un segno della morte delle civiltà. Il filosofo Gustave Thibon risponde in anticipo al rimprovero di passatismo: “Che cosa m’importa il passato in quanto passato? Non vedete che quando piango per la rottura di una tradizione, è soprattutto al futuro che penso? Quando vedo marcire una radice ho pietà dei fiori che domani appassiranno per mancanza di linfa (il nostro sguardo cui manca la luce)”.
Ciò che rattrista il filosofo non è ciò che è stato cancellato dal passato, bensì ciò che è confiscato al futuro. È anche pensando al futuro che Padre Calmel incoraggiava i suoi fedeli a formare, nella preghiera e nell’amicizia, comunità fraterne dove la grazia possa fiorire:
“Sotto l’egida della Vergine che schiaccia il Drago, i cristiani che pregano e si amano veramente in Cristo si stringeranno per mano, come fratelli, sulle onde impetuose di un mondo che ha rinnegato Dio e sta distruggendo l’uomo. Uniti dalla preghiera e dall’amicizia, per quanto ostacolati dalla pressione generale, riusciranno a mantenere o ricostituire una sorta di ambiente temporale veramente civile, sufficiente a permettere alle anime di buona volontà di non andare alla deriva e perdersi senza ritorno, ma di rimanere salde e vive. Di continuare il loro canto interiore, celebrare incessantemente l’amore e la bellezza di Dio attraverso le prove dell’esilio” (Itinéraires, novembre 1965).

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Demain la Chrétienté, nuova ed. rivista (1a ed. 1986), prefazione di Gustave Thibon, postfazione di Bernard Antony, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2005, p. 190, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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mercoledì 1 marzo 2023

L'abbazia Sainte-Marie de la Garde costruisce

L’abbazia Sainte-Marie de la Garde costruisce: aiutiamo i monaci nel cantiere della Grande Speranza!


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lunedì 27 febbraio 2023

La forza del digiuno

Quando questa lettera vi raggiungerà, la Quaresima sarà già ben avviata, ma sarà ben lungi dall’essere conclusa. Non dimenticate che è un tempo sacro, un momento di grazia, donato dal Signore attraverso la sua Chiesa. Le opere di penitenza, di preghiera e di elemosina acquistano una virtù speciale semplicemente perché questo tempo è particolarmente santificato dal grande mistero della Passione e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, che esso prepara.
Da alcuni decenni, le autorità ecclesiastiche giustamente ci ricordano che lo spirito vale più della pratica. Lo stesso san Benedetto ci dice nella Regola che la cosa più importante è attendere la santa festa di Pasqua con la gioia che viene dallo Spirito Santo. Ma attenzione, lo spirito senza le opere concrete va contro il buon senso e la natura umana. Si rischia di vivere una religione disincarnata trascurando di privarsi, per esempio, dei cibi a base di carne, ciò che è stato per lungo tempo proprio dei cristiani durante il tempo della Quaresima.
San Benedetto dà indicazioni ben precise per una buona Quaresima. Ogni monaco, oltre alle prescrizioni della comunità, è invitato a prendere risoluzioni sul bere, il mangiare, il dormire, la ricreazione, le parole, le letture. Tutto questo è scritto su un biglietto quaresimale, in modo che il monaco non dimentichi ciò che ha promesso al Signore e per dargli coraggio durante questo tempo che dura sei settimane.
Lasciate che vi riveli le pratiche dell’abbazia riguardo al digiuno. Il Mercoledì delle Ceneri, i monaci prendono un caffè e un pezzo di pane al mattino, un pranzo normale a mezzogiorno e un semplice brodo la sera. Il resto della Quaresima, la sera, invece del brodo, prendono una zuppa, un frutto e un pezzo di pane. Il Venerdì Santo, prendono un caffè con un pezzo di pane al mattino, a mezzogiorno pranzano in ginocchio con zuppa, alcune patate, un pezzo di pane e una mela. La sera, brodo. Inoltre, ogni monaco può ancora rimuovere qualcosa di propria iniziativa, però con l’accordo dell’abate, per non cadere nell’eccesso e nella presunzione.
I monaci vi possono testimoniare le virtù di questo digiuno. Attraverso il digiuno, l’anima diventa più consapevole del prezzo delle cose, del dono di Dio. Più che nei giorni festivi, il pasto è delizioso, nonostante la sua semplicità. Troviamo la gioia delle cose semplici che diserta tanto il cuore appesantito. Il digiuno affina la punta dell’anima, purifica il cuore, illumina la coscienza e la lenisce con penitenza ristoratrice, dona un certo autocontrollo, rafforza e approfondisce la preghiera. Una Quaresima ben fatta non può che dare un magnifico impulso alla vita interiore.
Ma tutti questi frutti, per quanto buoni e verificabili, non eguagliano la virtù principale che il Signore ha loro conferito, quella di scacciare i demoni. Il digiuno rimane il fondamento di questo potere contro il diavolo. È simile a un sacrificio, quello che Gesù praticò nel deserto agli albori della sua vita pubblica. Certo, il digiuno da solo non è sufficiente. Lo dice san Leone in un’omelia delle Quattro tempora d’inverno, dove precisa che, per la salvezza dell’anima, l’elemosina è altrettanto necessaria. Così, il digiuno consisterà nel privarsi per dare a chi è nel bisogno. Solo che, per scacciare il demonio, il digiuno deve essere accompagnato da un alleato molto importante: la preghiera.
Il demonio è stato sconfitto, ma rimane ben presente ovunque, nelle leggi, nella politica, nella cultura, nell’educazione, nei media, nella morale, e anche nella Chiesa, secondo il grido di san Paolo VI sul fumo di Satana. Non è sorprendente vedere sempre più persone usare gli esorcisti e vedere che gruppi satanisti stanno aumentando. Ogni peccato mortale dà più potere al diavolo. Ma non disperiamo mai della potenza superiore di Dio. E credete che attraverso il digiuno Dio ci offra di partecipare alla grande battaglia spirituale degli spiriti di luce contro gli spiriti delle tenebre. Possiamo essere sicuri della vittoria, per grazia di Dio, poiché Dio è l’unico Dio, e perché Gesù ha vinto la morte e il peccato.

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 181, 2 marzo 2022, pp. 1-2, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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lunedì 23 gennaio 2023

Della priorità di Dio e della liturgia divina

Nihil Operi Dei praeponatur
, nulla si anteponga al culto divino. Con queste parole san Benedetto, nella sua Regola (43,3), ha stabilito la priorità assoluta del Culto divino rispetto a ogni altro compito della vita monastica. Questo, anche nella vita monastica, non risultava immediatamente scontato, perché per i monaci era compito essenziale anche il lavoro nell’agricoltura e nella scienza. Sia nell’agricoltura come anche nell’artigianato e nel lavoro di formazione potevano certo esserci delle urgenze temporali che potevano apparire più importanti della liturgia. Di fronte a tutto questo Benedetto, con la priorità assegnata alla liturgia, mette inequivocabilmente in rilievo la priorità di Dio stesso nella nostra vita: «All’ora dell’Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine» (43,1).
Nella coscienza degli uomini di oggi, le cose di Dio e con ciò la liturgia non appaiono affatto urgenti. C’è urgenza per ogni cosa possibile. La cosa di Dio non sembra mai essere urgente. Ora, si potrebbe affermare che la vita monastica è in ogni caso qualcosa di diverso dalla vita degli uomini nel mondo, e questo è senz’altro giusto. E tuttavia la priorità di Dio che abbiamo dimenticato vale per tutti. Se Dio non è più importante, si spostano i criteri per stabilire quel che è importante. L’uomo, nell’accantonare Dio, sottomette se stesso a delle costrizioni che lo rendono schiavo di forze materiali e che così sono opposte alla sua dignità.
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II sono nuovamente divenuto consapevole della priorità di Dio e della liturgia divina. Il malinteso della riforma liturgica che si è ampiamente diffuso nella Chiesa cattolica portò a mettere sempre più in primo piano l’aspetto dell’istruzione e della propria attività e creatività. Il fare degli uomini fece quasi dimenticare la presenza di Dio. In una tale situazione divenne sempre più chiaro che l’esistenza della Chiesa vive della giusta celebrazione della liturgia e che la Chiesa è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e così nella vita. La causa più profonda della crisi che ha sconvolto la Chiesa risiede nell’oscuramento della priorità di Dio nella liturgia. Tutto questo mi portò a dedicarmi al tema della liturgia più ampiamente che in passato perché sapevo che il vero rinnovamento della liturgia è una condizione fondamentale per il rinnovamento della Chiesa. Sulla base di questa convinzione sono nati gli studi che sono raccolti nel presente volume XI dell’Opera Omnia. Ma al fondo, pur con tutte le differenze, l’essenza della liturgia in Oriente e Occidente è unica e la medesima. E così spero che questo libro possa aiutare anche i cristiani di Russia a comprendere in modo nuovo e meglio il grande regalo che ci è donato nella Santa Liturgia.

[Benedetto XVI (1927-2022), Prefazione all’edizione in lingua russa del vol. XI, Teologia della liturgia, dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI. Il testo venne portato a termine l’11 luglio 2015, festa di san Benedetto. Trascritto da Idem, Che cos'è il cristianesimo. Quasi un testamento spirituale, Mondadori, Milano 2023, pp. 44-45]

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giovedì 5 gennaio 2023

Storia di un’amicizia... benedettina

Quando penso a Benedetto XVI mi vengono allo spirito spontaneamente due versetti dell’epistola di san Paolo agli Efesini, quelli che evocano la capacità di “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza”.
Benedetto XVI è stato grande nella sua carità, quindi vorrei raccontarvi la storia di amicizia tra questo grande uomo e la nostra comunità.
La prima menzione del nome di Ratzinger nelle nostre cronache fu fatta in occasione di una conferenza svolta da Jean Madiran al noviziato, il 22 settembre 1984, su un documento del cardinale sulla teologia della liberazione e le sue radici marxiste. Questo intervento è stato considerato a tal punto importante dai monaci da essere annotato. Da quella data, il nome del cardinale ricorre più e più volte nella storia della comunità.
Solo tre mesi dopo, infatti, Dom Gérard fu convocato dal cardinale Ratzinger, che lo accolse con grande benevolenza, manifestandogli il suo fermo desiderio che la situazione canonica delle comunità tradizionali fosse migliorata.
Non posso fare a meno di notare che fu lui a prendere l’iniziativa: abbiamo solo risposto alla sua chiamata. Ciò che mette il cardinale dalla parte di Dio, la cui Provvidenza ha sempre l’iniziativa.
Ed è certo che egli ha lavorato con tutte le sue forze per evitare la rottura tra Roma e il mondo tradizionalista. Ha ricevuto mons. Lefebvre in molte occasioni e ha redatto gli accordi del maggio 1988.
Quando mons. Lefebvre ritirò la firma di questo accordo, fu ancora il cardinale Ratzinger che, durante un’udienza privata con Papa Giovanni Paolo II, ottenne che la Santa Sede concedesse alle comunità che desideravano rimanere unite a Roma (compresa la nostra) l’uso, in privato e in pubblico, dei libri liturgici in vigore nel 1962, per i membri delle comunità e quanti frequentavano le loro case.
Furono inoltre ammessi la possibilità di fare appello a un vescovo per conferire gli ordini, il diritto per i fedeli di ricevere i sacramenti secondo i libri del 1962 e la possibilità di sviluppare lo slancio pastorale attraverso opere di apostolato, conservando i ministeri attualmente assunti (motu proprio Ecclesia Dei).
Con questo testo giuridico decisivo, il cardinale Ratzinger è diventato membro fondatore delle nostre comunità, una delle cui ragioni di esistenza è la celebrazione della liturgia secondo i libri antichi.
Gli atti di amicizia non si sono fermati nel 1988. Andando oltre il quadro canonico, il cardinale Ratzinger ha accettato di scrivere una lettera d’introduzione alla riedizione del messale tradizionale per i fedeli, che ha fatto digrignare alcuni denti episcopali francesi e ha scatenato una tempesta mediatica a causa della traduzione di una delle preghiere del Venerdì Santo.
Papa Benedetto XVI risolverà la difficoltà dando un tono più irenico a questa preghiera fatta per il popolo ebraico, pur mantenendo l’intenzione fraterna della sua conversione.
Fu ancora il cardinale Ratzinger a lavorare per un incontro tra Giovanni Paolo II e la comunità, che ebbe luogo nel settembre 1990 e durante il quale Dom Gérard poté fare conoscere le difficoltà di applicazione del motu proprio Ecclesia Dei.
Il cardinale Ratzinger cercherà allora, con l’aiuto delle persone riguardate, di trovare delle soluzioni pratiche attraverso statuti specifici. Già nel 1991 il cardinale propendeva per la soluzione di un possibile ricorso da parte di tutti i fedeli ai loro vescovi per ottenere la celebrazione della messa tradizionale.
Inutile ricordare che in un successivo 7 luglio 2007, vedrà la luce un documento pacificatore di Papa Benedetto XVI (Summorum Pontificum), in vista di una pace liturgica rispettosa delle diverse aspirazioni dei fedeli.
Noto una menzione affascinante, che mostra la delicata onestà del cardinale: invitò Dom Gérard a visitare i vescovi per praticare la reciproca correzione fraterna. Sottoporre le nostre rispettose osservazioni e ascoltare le loro.
Malgrado la tempesta mediatica dovuta al Messale del Barroux, il cardinale ha accettato con gioia di fornire, ancora una volta, una prefazione alla ripubblicazione di un secondo libro di monsignor Klaus Gamber: Rivolti al Signore.
Fu anch’essa l’occasione di reazioni molto forti in Francia, poiché questo libro espone con rigore scientifico i fondamenti della celebrazione della Messa rivolta verso Oriente (simbolo di Cristo, sole nascente) piuttosto che verso i fedeli.
L’amicizia tra il cardinale e la comunità culminò nella sua visita del settembre 1995. Ci teneva nonostante resistenze di ogni tipo. Qualche autorità ecclesiastica gli aveva chiesto di non venire nelle date previste a causa della vicenda di monsignor Gaillot e delle elezioni; rinviò la sua visita di qualche mese, ma venne.
Ricordo molto bene la sua visita. Giovane novizio, mi trovai faccia a faccia con lui e il suo segretario, monsignor Josef Clemens. Arrivarono da Roma in auto (il loro aereo era stato cancellato a causa di uno sciopero) e si riposavano un po’ seduti su un baule.
Ho conservato un ricordo indimenticabile della sua accoglienza ufficiale nell’abbaziale: processione, canto e preghiera, e in conclusione una benedizione pontificale. Le sue esortazioni erano tutte incentrate sulla vita interiore, così vitale per la vita della Chiesa.
Al termine della Messa, si è immerso nella folla e dopo il pranzo coronato dalle acclamazioni carolingie, ha avuto un incontro con i sacerdoti diocesani che lo hanno assalito con le loro domande. La sua parola d’ordine era, come dubitarne, soprannaturale: pazienza e preghiera. Penso che sia ancora di attualità.
Nel 1998, in occasione del decimo anniversario del motu proprio Ecclesia Dei, presiedette un convegno a Roma, non esitando a dire che le difficoltà per la sua applicazione erano dovute a un’errata comprensione dei testi del Concilio Vaticano II, ma che non si doveva perdere la pazienza e soprattutto occorreva mantenere la fiducia attingendo dalla liturgia la forza necessaria per una testimonianza di fedeltà cattolica.
In occasione della morte di Dom Gérard, inviò una lettera molto toccante in cui si è rivelata la sua amicizia. Ha ricordato che Dom Gerard aveva trascorso “la maggior parte della sua vita rivolto verso il Signore, lodando Dio e guidando i suoi fratelli nella preghiera”.
Rendeva grazie “per l’attenzione di Dom Gérard alla bellezza della liturgia latina, chiamata ad essere sempre più fonte di comunione e di unione nella Chiesa”.
Passando a ricordi più personali, ecco il resoconto di alcuni incontri.
Dopo la mia elezione, nel 2004, sono andato a presentarmi al cardinale, che mi ha ricevuto con immensa benevolenza. Nonostante la mia giovinezza, l’inesperienza e le mie domande bizzarre, non mi ha mostrato altro che rispetto e incoraggiamento.
L’ho rivisto quando era Papa, durante un’udienza generale: è stato molto simpatico, perché l’ufficiale che doveva presentarmi ha perso tempo a cercare il mio nome sulla lista e Papa Benedetto XVI lo ha preceduto chiamandomi “il padre abate del Barroux”, arrotondando la “r” in stile germanico.
Poi mi chiese notizie delle monache, della comunità, di Dom Gérard, il suo “grande amico”. La sua gioia era di una sincerità contagiosa, e in sua presenza ci si dimenticava dei fotografi.
L’ho incontrato un’ultima volta al Mater Ecclesiae. Era molto lucido. Nella conversazione, non una parola di troppo, ma un pensiero diretto espresso chiaramente. Ciò che mi ha colpito di più in quest’ultimo colloquio è stata la purezza del suo animo. Avvicinandomi a lui, mi sentivo come se stessi scaricando tutte le mie preoccupazioni ed entrando nella luce. Ricordo ancora il suo gesto di benvenuto.
Per la Chiesa, Benedetto XVI rimarrà una pietra angolare ben inserita nella Casa del Signore, la Domus Domini. Da diversi anni, mi appoggio sulle sue udienze generali per tenere conferenze spirituali il primo venerdì del mese. C’è sempre una dottrina sicura, radicata e molto attuale.
Un padre mi ha ricordato che è stato, come teologo, un grande artigiano, prima del Concilio, del rinnovamento degli studi teologici, attraverso il ritorno ai Padri della Chiesa e ai grandi scolastici. Durante il Concilio, don Joseph Ratzinger si è battuto per un rinnovamento della teologia fondamentale, specialmente sul tema della Rivelazione e del rapporto tra Scrittura e Tradizione.
Dopo il Concilio, ha adottato un atteggiamento più difensivo contro le derive legate alla rivoluzione del maggio ‘68. Con la fiducia di san Paolo VI e soprattutto di san Giovanni Paolo II, egli ha contribuito a una serie di documenti magisteriali, dando un’interpretazione chiarificatrice dei testi del Concilio Vaticano II.
La storica intervista a Vittorio Messori, Rapporto sulla fede, e il discorso di Benedetto XVI alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, hanno fatto la storia.
Infine, credo che saremo tutti unanimemente d’accordo nel salutare la sua luminosa umiltà unita a un bel coraggio: dopo la pubblicazione della Dominus Jesus, le reazioni violentissime, lungi dallo spaventarlo, lo avevano rafforzato nell’urgenza di questo tipo di richiamo.
Fu anche uno dei primi ad avviare la lotta contro gli abusi, prova della sua lucidità. Infine, concludo ricordando la profondità della sua dottrina fondata sul rapporto tra fede e ragione, sull’“‘ermeneutica della riforma’, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato”.
Ha avuto la saggezza di proporre alla Chiesa di puntare tutto sul solido fondamento delle virtù teologali con le sue tre encicliche: Deus caritas est, Spe salvi e l’ultima che ha fatto firmare dal suo successore, Papa Francesco, Lumen Fidei.
Che Dio si degni di accoglierlo nella sua pace e nella sua luce! Che egli preghi per noi e ci benedica dall’alto del cielo!

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, “Histoire d’une amitié... bénédictine”, L’Homme Nouveau, 4 gennaio 2023, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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