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Novizi (con lo scapolare bianco) dell'abbazia cistercense di Heiligenkreuz |
Con piacere, nel mio pellegrinaggio alla Magna
Mater Austriae, sono venuto anche nell’Abbazia di Heiligenkreuz, che non è
solo una tappa importante sulla Via Sacra verso Mariazell, ma il più
antico monastero cistercense del mondo restato attivo senza interruzione. Ho
voluto venire a questo luogo ricco di storia, per attirare l’attenzione alla
direttiva fondamentale di san Benedetto, secondo la cui Regula vivono
anche i cistercensi. Benedetto dispone concisamente di “non anteporre nulla al
divino Officio” (Regula Benedicti 43,3).
Per questo in un monastero di impostazione
benedettina, le lodi di Dio, che i monaci celebrano come solenne preghiera
corale, hanno sempre la priorità. Certo – e grazie a Dio! –, non sono solo i
monaci che pregano; anche altre persone pregano: bambini, giovani e anziani,
uomini e donne, persone sposate e nubili – ogni cristiano prega, o almeno dovrebbe
farlo!
Nella vita dei monaci, tuttavia, la
preghiera ha una speciale importanza: è il centro del loro compito
professionale. Essi, infatti, esercitano la professione dell’orante. Nell’epoca
dei Padri della Chiesa, la vita monastica veniva qualificata come vita a modo
degli angeli. E come caratteristica essenziale degli angeli si vedeva il loro
essere adoratori. La loro vita è adorazione. Questo dovrebbe valere anche per i
monaci. Essi pregano innanzitutto non per questa o quell’altra cosa, ma
semplicemente perché Dio merita di essere adorato. “Confitemini Domino,
quoniam bonus! – Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la
sua misericordia!”, esortano vari Salmi (ad es. Sal 106, 1). Una tale
preghiera senza scopo specifico, che vuol essere puro servizio divino viene
perciò chiamata con ragione “officium”. È il “servizio” per eccellenza,
il “servizio sacro” dei monaci. Esso è offerto al Dio trinitario che, al di
sopra di tutto, è degno “di ricevere la gloria, l’onore e la potenza” (Ap
4,11), perché ha creato il mondo in modo meraviglioso e in modo ancora più
meraviglioso l’ha rinnovato.
Allo stesso tempo, l’officium dei
consacrati è anche un servizio sacro agli uomini e una testimonianza per loro.
Ogni uomo porta nell’intimo del suo cuore, consapevolmente o in modo inconscio,
la nostalgia di un definitivo appagamento, della massima felicità, quindi in
fondo di Dio. Un monastero, in cui la comunità si raduna più volte al giorno
per lodare Dio, testimonia che questo originario desiderio umano non cade nel
vuoto: il Dio Creatore non ha posto noi uomini in tenebre spaventose dove,
andando a tentoni, dovremmo disperatamente cercare un fondamentale ultimo senso
(cfr At 17,27); Dio non ci ha abbandonati in un deserto del nulla, privo
di senso, dove, in definitiva, ci aspetta soltanto la morte. No! Dio ha
illuminato le nostre tenebre con la sua luce, per opera del suo Figlio Gesù
Cristo. In Lui, Dio è entrato nel nostro mondo con tutta la sua “pienezza” (cfr
Col 1,19), in Lui ogni verità, di cui abbiamo nostalgia, ha la sua
origine ed il suo culmine (cfr Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 22).
La nostra luce, la nostra verità, la
nostra meta, il nostro appagamento, la nostra vita – tutto ciò non è una
dottrina religiosa, ma una Persona: Gesù Cristo. Molto al di là delle
nostre capacità di cercare e di desiderare Dio, siamo già prima stati cercati e
desiderati, anzi, trovati e redenti da Lui! Lo sguardo degli uomini di ogni
tempo e popolo, di tutte le filosofie, le religioni e le culture incontra
infine gli occhi spalancati del Figlio di Dio crocifisso e risorto; il suo
cuore aperto è la pienezza dell’amore. Gli occhi di Cristo sono lo sguardo del
Dio che ama. L’immagine del Crocifisso sopra l’altare, il cui originale romano
si trova nel Duomo di Sarzano, mostra che questo sguardo si volge ad ogni uomo.
Il Signore, infatti, guarda nel cuore di ciascuno di noi.
Il nocciolo del monachesimo è l’adorazione
– il vivere alla maniera degli angeli. Essendo, tuttavia, i monaci uomini con
carne e sangue su questa terra, san Benedetto all’imperativo centrale dell’“ora”
ne ha aggiunto un secondo: il “labora”. Secondo il concetto di san
Benedetto come anche di san Bernardo, una parte della vita monastica, insieme
alla preghiera, è anche il lavoro, la coltivazione della terra in conformità
alla volontà del Creatore. Così in tutti i secoli i monaci, partendo dal loro sguardo
rivolto a Dio, hanno reso la terra vivibile e bella. La salvaguardia e il
risanamento della creazione provenivano proprio dal loro guardare a Dio. Nel
ritmo dell’ora et labora la comunità dei consacrati dà testimonianza di
quel Dio che in Gesù Cristo ci guarda, e uomo e mondo, guardati da Lui,
diventano buoni.
Non solo i monaci dicono l’officium,
ma la Chiesa dalla tradizione monastica ha derivato per tutti i religiosi, ed
anche per sacerdoti e diaconi la recita del Breviario. Vale anche qui che le religiose
e i religiosi, i sacerdoti e i diaconi – e naturalmente anche i Vescovi – nella
quotidiana preghiera “ufficiale” si presentano davanti a Dio con inni e salmi,
con ringraziamenti e domande senza scopi specifici.
Cari confratelli nel ministero sacerdotale
e diaconale, cari fratelli e sorelle nella vita consacrata! Io so che ci vuole
disciplina, anzi, a volte anche superamento di sé per recitare fedelmente il
Breviario; ma mediante questo officium riceviamo allo stesso tempo molte
ricchezze: quante volte nel fare ciò stanchezza e abbattimento si dileguano! E
là dove Dio viene lodato ed adorato con fedeltà, la sua benedizione non manca.
Con ragione si dice in Austria: “Tutto dipende dalla benedizione di Dio!”
Il vostro servizio primario per questo
mondo deve quindi essere la vostra preghiera e la celebrazione del divino
Officio. La disposizione interiore di ogni sacerdote, di ogni persona
consacrata deve essere quella di “non anteporre nulla al divino Officio”. La
bellezza di una tale disposizione interiore si esprimerà nella bellezza della
liturgia al punto che là dove insieme cantiamo, lodiamo, esaltiamo ed adoriamo
Dio, si rende presente sulla terra un pezzetto di cielo. Non è davvero
temerario se in una liturgia totalmente centrata su Dio, nei riti e nei canti,
si vede un’immagine dell’eternità. Altrimenti, come avrebbero potuto i nostri
antenati centinaia di anni fa costruire un edificio sacro così solenne come
questo? Già la sola architettura qui attrae in alto i nostri sensi verso
“quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di
uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (cfr 1 Cor
2, 9).In ogni forma di impegno per la liturgia criterio determinante deve
essere sempre lo sguardo verso Dio. Noi stiamo davanti a Dio – Egli ci parla e
noi parliamo a Lui. Là dove, nelle riflessioni sulla liturgia, ci si chiede
soltanto come renderla attraente, interessante e bella, la partita è già persa.
O essa è opus Dei con Dio come specifico soggetto o non è. In questo contesto
io vi chiedo: realizzate la sacra liturgia avendo lo sguardo a Dio nella
comunione dei santi, della Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi,
affinché diventi espressione della bellezza e della sublimità del Dio amico
degli uomini!
L’anima della preghiera, infine, è lo
Spirito Santo. Sempre, quando preghiamo, è in verità Lui che “viene in aiuto
alla nostra debolezza, intercedendo con insistenza per noi, con gemiti
inesprimibili” (cfr Rm 8, 26). Confidando in questa parola dell’apostolo
Paolo vi assicuro, cari fratelli e sorelle, che la preghiera susciterà in voi
quell’effetto che una volta si esprimeva chiamando sacerdoti e persone
consacrate semplicemente “Geistliche” (cioè persone spirituali). Il
Vescovo Sailer di Ratisbona disse una volta che i sacerdoti dovrebbero essere
prima di tutto persone spirituali. Mi piacerebbe se l’espressione “Geistliche”
ritornasse nuovamente più in uso. È però soprattutto importante che si realizzi
in noi quella realtà che la parola descrive: che nella sequela del Signore, in
virtù della forza dello Spirito, diventiamo persone “spirituali”.
L’Austria è, come si dice in doppio senso,
veramente “Klösterreich”: regno di monasteri e ricca di monasteri. Le
vostre antichissime abbazie con origini e tradizioni che risalgono a secoli fa
sono luoghi della “preferenza per Dio”. Cari confratelli, rendete molto
evidente per gli uomini questa priorità di Dio! Come oasi spirituale un
monastero indica al mondo di oggi la cosa più importante, anzi, alla fine l’unica
cosa decisiva: esiste un’ultima ragione per cui vale la pena vivere, cioè Dio e
il suo amore imperscrutabile.
E chiedo a voi, cari fedeli, considerate
le vostre abbazie e i vostri monasteri quello che sono e sempre vogliono
essere: non soltanto luoghi di cultura e di tradizione o addirittura semplici
aziende economiche. Struttura, organizzazione ed economia sono necessarie anche
nella Chiesa, ma non sono la cosa essenziale. Un monastero è soprattutto
questo: un luogo di forza spirituale. Arrivando in uno dei vostri monasteri qui
in Austria si ha la stessa impressione di quando, dopo una camminata sulle Alpi
che è costata sudore, finalmente ci si può rinfrescare ad un ruscello di acqua
sorgiva… Approfittate dunque di queste sorgenti della vicinanza di Dio nel
vostro Paese, stimate le comunità religiose, i monasteri e le abbazie e
ricorrete al servizio spirituale che i consacrati sono disposti ad offrirvi!
La mia visita, infine, è rivolta all’Accademia
ormai Pontificia che si trova nel 205o anniversario della sua fondazione
e che, nel suo stato nuovo, dall’Abate ha ricevuto il nome aggiuntivo dell’attuale
successore di Pietro. Per quanto sia importante l’integrazione della disciplina
teologica nell’universitas del sapere mediante le facoltà teologiche
cattoliche nelle università statali, è tuttavia altrettanto importante che ci
siano luoghi di studi così profilati come il vostro, dove è possibile un legame
approfondito tra teologia scientifica e spiritualità vissuta. Dio, infatti, non
è mai semplicemente l’Oggetto della teologia, è sempre allo stesso tempo anche
il suo Soggetto vivente. La teologia cristiana, del resto, non è mai un
discorso solamente umano su Dio, ma è sempre al contempo il Logos e la
logica in cui Dio si rivela. Per questo intellettualità scientifica e devozione
vissuta sono due elementi dello studio che, in una complementarietà
irrinunciabile, dipendono l’una dall’altra.
Il padre dell’Ordine cistercense, san
Bernardo, a suo tempo ha lottato contro il distacco di una razionalità
oggettivante dalla corrente della spiritualità ecclesiale. La nostra situazione
oggi, pur diversa, ha però anche notevoli somiglianze. Nell’ansia di ottenere
il riconoscimento di rigorosa scientificità nel senso moderno, la teologia può
perdere il respiro della fede. Ma come una liturgia che dimentica lo sguardo a
Dio è, come tale, al lumicino, così anche una teologia che non respira più
nello spazio della fede, cessa di essere teologia; finisce per ridursi ad una
serie di discipline più o meno collegate tra di loro. Dove invece si pratica
una “teologia in ginocchio”, come richiedeva Hans Urs von Balthasar (cfr Theologie
und Heiligkeit, Aufsatz von 1948 in: Verbum Caro. Schriften zur
Theologie I, Einsiedeln 1960, 195-224), non mancherà la fecondità per la Chiesa
in Austria ed anche oltre.
Questa fecondità si mostra nel sostegno e
nella formazione di persone che portano in sé una chiamata spirituale. Perché
oggi una chiamata al sacerdozio o allo stato religioso possa essere sostenuta
fedelmente lungo tutta la vita, occorre una formazione che integri fede e
ragione, cuore e mente, vita e pensiero. Una vita al seguito di Cristo ha
bisogno dell’integrazione dell’intera personalità. Dove si trascura la
dimensione intellettuale, nasce troppo facilmente una forma di pia infatuazione
che vive quasi esclusivamente di emozioni e di stati d’animo che non possono
essere sostenuti per tutta la vita. E dove si trascura la dimensione
spirituale, si crea un razionalismo rarefatto che sulla base della sua freddezza
e del suo distacco non può mai sfociare in una donazione entusiasta di sé a
Dio. Non si può fondare una vita al seguito di Cristo su tali unilateralità;
con le mezze misure si resterebbe personalmente insoddisfatti e, di
conseguenza, forse anche spiritualmente sterili. Ogni chiamata alla vita
religiosa o al sacerdozio è un tesoro così prezioso che i responsabili devono
fare tutto il possibile per trovare le vie di formazione adatte per promuovere
insieme fides et ratio – la fede e la ragione, il cuore e la mente.
San Leopoldo d’Austria – l’abbiamo sentito
poc’anzi – su consiglio del figlio, il beato Vescovo Otto di Frisinga che fu
mio predecessore sulla sede vescovile di Frisinga (in Frisinga si celebra oggi
la sua festa), fondò nel 1133 la vostra abbazia, dandole il nome di “Unsere
Liebe Frau zum Heiligen Kreuz” - Nostra Signora della Santa Croce. Questo
monastero non è dedicato alla Madonna solo tradizionalmente – come tutti i
monasteri cistercensi –, ma qui arde il fuoco mariano di un san Bernardo di Chiaravalle.
Bernardo che, insieme a 30 compagni entrò nel monastero, è una specie di
Patrono delle chiamate spirituali. Forse aveva un ascendente così entusiasmante
ed incoraggiante su molti giovani del suo tempo chiamati da Dio, perché era
animato da una particolare devozione mariana. Dove c’è Maria, là c’è l’immagine
primigenia della donazione totale e della sequela di Cristo. Dove c’è Maria, là
c’è il soffio pentecostale dello Spirito Santo, là c’è l’avvio e un
rinnovamento autentico.
Da questo luogo mariano sulla Via Sacra auguro a tutti i luoghi
spirituali in Austria fecondità e capacità di irraggiamento. Qui vorrei prima
della mia partenza, come già a Mariazell, chiedere alla Madre di Dio ancora una
volta di intercedere per tutta l’Austria. Con le parole di san Bernardo invito
ciascuno a farsi davanti a Maria fiduciosamente “bambino”, come lo ha fatto il
Figlio stesso di Dio. San Bernardo dice, e noi diciamo con lui: “Guarda la
stella, invoca Maria … Nei pericoli, nella angustie, nelle incertezze, pensa a
Maria, invoca Maria. Non s’allontani il suo nome dalla tua bocca, non si
allontani dal tuo cuore … Seguendo lei non ti smarrisci, pregando lei non ti
disperi, pensando a lei non sbagli. Se lei ti tiene, non cadi; se lei ti
protegge, non temi; se lei ti guida, non ti stanchi, se lei ti concede il suo
favore, tu arrivi al tuo fine” (Bernardo di Chiaravalle, In laudibus
Virginis Matris, Homilia 2, 17).
[Benedetto XVI, Discorso all'Abbazia di Heiligenkreux durante il viaggio apostolico in Austria in occasione dell'850° anniversario della fondazione del Santuario di Mariazell, 9 settembre 2007]