martedì 21 ottobre 2014

L’arte sacra di Clotilde Devillers - Artigiana dei dettagli

Acquarelli, inchiostri, pitture su legno secondo la tecnica dell’icona, laminati d’oro, ceri pasquali, disegni, casule ricamate, acrilici, miniature su pergamena, bassorilievi in marasco, incisioni, olii su tela, pitture murali, terrecotte, vetrate, sculture in pietra e in legno: colpisce davvero la varietà di espressioni dell’artista francese Clotilde Devillers, la cui opera è ora in parte raccolta nel volume pubblicato dalle edizioni Ama, acronimo di Ateliers Monastique de l’Annonciation (Clotilde Devillers, Le Barroux, 2014, pagine 83, euro 25).
Finito di stampare il 3 giugno, esattamente nella festa di santa Clotilde, il libro è l’occasione per conoscere i quasi trent’anni di attività di questa artista, morta nel 2008 a cinquantadue anni. Sfogliando le pagine, dai primi acquarelli degli anni Ottanta alle ultime opere, nella varietà di materiali e stili, si passa da soggetti di vita quotidiana a raffigurazioni di santi, scene del Vangelo e della vita monastica.
Spiritualmente vicina al pittore polacco canonizzato Albert Chmielowski, che dedicò la sua vita ai poveri, Devillers iniziò a dipingere da piccola, continuando poi a studiare arte. Da subito rivela i tratti che avrebbero caratterizzato la sua produzione: vivacità, energia e dolcezza. Tratti che si fondono con una ricerca spirituale in cammino costante. Conosciuto, nel 1973, il Movimento della gioventù cattolica francese, Clotilde — sempre accompagnata dalla pittura — sperimenta una vita spirituale profonda. Perché quel che vuole fare è «dipingere il sorriso dell’invisibile» per permettere alle persone di accedere alla «gioia del sacro».
Nel 1977 Louise André-Delastre le chiede di illustrare i suoi libri per l’infanzia e la rivista «Patapon», ma la vita di Devillers cambia tre anni dopo quando conosce Albert Gérard, che sta per aprire a Parigi l’atelier cattolico di Sainte- Espérance: Clotilde sarà la prima allieva. Quando l’atelier si sposta in Provenza, a Barroux, presso l’abbazia benedettina di Sainte-Madeleine, la vicinanza con dom Gérard Calvet, l’abate, sarà fonte di grande arricchimento spirituale per Clotilde. Il suo proposito diviene ancora più forte: «Non v’è gioia più grande che quella di creare percorsi luminosi capaci di aiutare le persone ad arrampicarsi verso il cielo». Si considerava un’artigiana, più che un’artista, Clotilde Devillers. Un’artigiana dei dettagli, delle sfumature, verrebbe da aggiungere. Delle sue figure colpiscono innanzitutto la delicatezza. Una delicatezza che traspare dai volti — siano essi raffigurati con la stoffa (come l’Annunciazione su una casula del 1992), con il legno (è, in particolare, il caso della statua di santa Teresa di Gesù bambino, del 1997), con la pietra grezza (Santa Maddalena, 1993) o dipinti (Nostra Signora di Monte Carmelo, 2006).
La delicatezza dei volti, degli sguardi, dei gesti. Ma, soprattutto, la delicatezza delle mani, come la destra di Maria che tiene il capo del figlio morto nel capitello Mater admirabilis nel chiostro dell’abbazia Notre-Dame de l’Annonciation a Le Barroux (si tratta di una serie di quaranta capitelli che illustrano le litanie della Vergine Maria). Ma anche la mano che accarezza il volto di san Giuseppe, nel capitello Virgo clemens.
O, ancora, quelle della Vergine della tenerezza, realizzata per la chiesa di Sainte-Nathalène a Maillac: Maria è in piedi, la veste panneggiata, stringe a sé Gesù. Ha il capo reclinato verso il bimbo, una mano sulla schiena del figlio, l’altra a sorreggerlo. È affettuosa e forte insieme. Un tassello del percorso luminoso lasciatoci da Clotilde.
 
[Giulia Galeotti, "L’arte sacra di Clotilde Devillers. Artigiana dei dettagli", L'Osservatore Romano, 23 agosto 2014, p. 5]