Quando
Romualdo si recò nell’eremo
Mentre
nel suo animo l’amore della perfezione cresceva sempre di più di giorno in
giorno senza che il suo animo trovasse pace, udì che nella regione di Venezia
vi era un uomo spirituale, di nome Marino, che conduceva vita eremitica. E
così, con il consenso – ottenuto facilissimamente – dell’abate e dei fratelli,
mediante un’imbarcazione giunse presso tale uomo venerabile e con umilissimo
fervore dell’animo decise di vivere sotto la sua guida. Marino, fra le altre
virtù, era un uomo di animo semplice e della più autentica purezza; egli non
era stato assolutamente ammaestrato alla vita eremitica da nessun genere di
insegnamento, ma era stato spinto a essa solo dall’impulso della sua buona
volontà. Inoltre, egli aveva questa forma di vita: durante tutto l’anno tre
giorni alla settimana mangiava la metà di un piccolo pane e un pugnello di
fave, e tre giorni invece, con una sobrietà piena di discrezione, prendeva del
vino e una pietanza. Ogni giorno cantava l’intero salterio, ma, siccome era
inesperto e non era stato per nulla ammaestrato nello stile della vita
eremitica – come in seguito lo stesso Romualdo riferirà sorridendone – la
maggior parte delle volte, uscendo dalla cella insieme con il discepolo, se ne
andava qua e là, salmodiando, per tutta l’estensione dell’eremo, cantando ora
sotto un albero, venti salmi, ora sotto un altro trenta o quaranta.
Romualdo,
poi, che aveva lasciato il mondo essendo senza istruzione, quando apriva il
Salterio a stento riusciva a pronunciare, sillabando, il canto dei versetti che
toccavano a lui; e questa umiliazione provocava in lui il malessere
insopportabile dell’accidia. Marino, allora, tenendo una verga nella destra,
colpiva spessissimo Romualdo, che gli sedeva di fronte, sulla parte sinistra
del capo. Dopo molto tempo Romualdo, costretto da una necessità molto forte,
disse umilmente: “Maestro, se ciò ti è gradito, d’ora in
poi colpiscimi sull’orecchio destro, perché dall’orecchio sinistro sto già
perdendo completamente l’udito”. Quegli allora, ammirato della sua così grande
pazienza, temperò la severità – priva di discrezione – di quella disciplina.
[San Pier
Damiani (1007-1072), Vita beati Romualdi, trad. it. in I Padri camaldolesi, Privilegio d'amore. Fonti camaldolesi. Testi normativi, testimonianze documentarie e letterarie, Edizioni Qiqajon, Magnano (Biella) 2007, pp. 65-155 (pp. 73-74)]