venerdì 6 settembre 2013

Un commento alla Regola di san Benedetto: l'intenzione principale (prima parte)

Quando alcuni uomini si mettono in gruppo per camminare assieme, occorre che abbiano fissato in anticipo uno scopo e un itinerario per raggiungerlo. Senza di ciò, cosa potrà fare questo gruppo, se non segnare il passo? Segnare il passo non ha mai suscitato né entusiasmo né coraggio. Coloro che, nel gruppo, vedono più chiaramente lo scopo, hanno anche il dovere di ricordarlo a quelli la cui attenzione si disperde o si addormenta.
San Benedetto inizia dunque stabilendo lo scopo. In effetti, in quanto cristiano e uomo di fede, in quanto psicologo e maestro nell’arte di vivere con Dio, in quanto direttore di una scuola professionale e di un laboratorio, egli attribuisce una grandissima importanza allo scopo. Poiché lo scopo, attirandoci a sé, occupa i nostri pensieri e dirige tutte le nostre attività.
Cosa definisce l’«intenzione principale»? Si tratta dello scopo più attraente, chiaramente visto e costantemente voluto come totalità, mai abbandonato e sempre ripreso, verso il quale rivolgo i miei pensieri e i miei sforzi. Così l’uomo posseduto dalla ferma volontà di diventare un sapiente, concentra verso questo scopo tutto il suo lavoro, le sue letture, le sue conversazioni, i suoi viaggi, la cura della sua salute, e finanche il suo riposo. Ogni uomo è dunque animato da un’intenzione principale, ma essa è chiaramente visibile solo in coloro che cercano uno scopo lontano, poiché elevato e disinteressato, e la cui ricerca impone un’ampia parte di sacrifici e di pazienza. Tale è, senza alcun dubbio, lo scopo che cerca il monaco, su un invito venuto da Dio stesso. L’intenzione principale che deve animare il discepolo di san Benedetto si trova espressa abbondantemente nella santa Regola: nel prologo, nel capitolo fondamentale sull’umiltà, e nel corso di altri capitoli, in brani meno estesi, ma sempre significativi.
 
Vi è anzitutto un insieme di formule luminose:
 
«Militare sotto il vero Re, Cristo Signore» (RB, Prologo, 3)
«Non anteporre nulla all’amore di Cristo» (RB 4,21)
«Non avere nulla più caro di Cristo» (RB 5,2)
«Non antepongano assolutamente nulla a Cristo» (RB 72,11)
«Desiderare la vita eterna con tutto lo slancio dell’anima» (RB 4,46)
 
Poi c’è la massa delle formule sostanziose, tutte nel Prologo:
 
«In modo da meritare la visione di lui, che ci ha chiamati nel suo regno» (RB, Prologo, 21)
«Ascoltiamo la risposta con cui il Signore ci indica la via che porta a quella tenda» (RB, Prologo, 24)
«Coloro che glorificano il Signore che opera in essi» (RB, Prologo, 30)
«Il Signore attende che, giorno per giorno, rispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni» (RB, Prologo, 35)
«Se vogliamo pervenire alla vita eterna» (RB, Prologo, 42)
«Non allontanandoci mai dagli insegnamenti di Dio e perseverando fino alla morte nel monastero in una fedele adesione alla sua dottrina» (RB, Prologo, 50)
 
Così pure nei vari capitoli della Regola:
 
«Militando sotto uno stesso Signore, prestiamo un eguale servizio» (RB 2,20)
«Rinnegare completamente se stesso per seguire Cristo» (RB 4,10)
«In vista della gloria eterna» (RB 5,3)
«La nostra vita terrena che […] Dio solleva fino al cielo» (RB 7,8)
«Se vogliamo […] arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste» (RB 7,5)
«Giungerà subito a quella carità» (RB 7,67)
«Il cammino che conduce a Dio» (RB 58,8)
«La via più rapida e diretta per raggiungere l’unione con il nostro Creatore» (RB 73,4)
«Tu […] che con sollecitudine e ardore ti dirigi verso la patria celeste» (RB 73,8)
«Con la grazia di Dio giungerai finalmente a quelle più alte cime» (RB 73,9)
 
San Benedetto riassume quindi – per così dire – tutta la religione in tre articoli. Anzitutto Dio, Sovrano Maestro, in Cielo. Poi il Cielo di Dio, promesso all’uomo e quindi scopo della nostra vita. Infine Gesù Cristo, Salvatore dell’uomo per il Cielo. Questi tre articoli della nostra fede monastica sono perfettamente saldati fra loro e formano insieme un unico bene massimamente desiderabile, verso il quale si rivolgerà la nostra intenzione principale. La religione del monaco si oppone dunque totalmente all’ateismo e al materialismo di ogni tempo; è assolutamente teocentrica: Dio; e risolutamente soprannaturale: il Cielo. Così l’ordine monastico è un esercito di Dio e il monastero un «accampamento di Dio».
Così, mediante la sua intenzione principale, il monaco riconosce se stesso più direttamente come uomo di Dio, che come uomo di preghiera, sempre che queste due qualità possano essere separate. Al contrario, esse si richiamano reciprocamente, perché è precisamente la preghiera che testimonia la nostra intenzione rivolta a Dio.
Occorre dire allora che l’intenzione principale di ogni discepolo di san Benedetto dev’essere quella di diventare un contemplativo? Per «contemplativo» intendiamo il fedele in cui la preghiera diventa almeno talora contemplazione; e per «contemplazione» intendiamo un certo grado di preghiera, data totalmente da Dio – o almeno aiutata da una grazia –, durante la quale il fedele si ritrova per un certo tempo unito a Dio. Nel suo grado minimo la contemplazione propriamente detta si definisce come una comunicazione oscura, di Dio all’anima, che rende l’anima innamorata.
 
[Père Jérôme (Kiefer, O.C.S.O., 1907-1985), Saint Benoît de nouveau suivi, Ad Solem, Parigi 2013, pp. 43-47]