Carissimi
amici,
Seguendo
un’usanza molto antica, ogni mattina al capitolo la comunità presta grande
attenzione a un brano della Regola benedettina e ne riceve dal superiore un
breve commento. È un momento privilegiato che fa scendere nel cuore del monaco
il soffio della sapienza come ce la dispensa a profusione san Benedetto nei
suoi 73 capitoli.
Recentemente,
una sentenza mi è parsa delle più luminose: «L’abate deve sempre ricordarsi
quel che è e come viene chiamato». In effetti, esiste sempre un profondo legame
fra “memoria e identità”, che il superiore è chiamato a coltivare in sé senza
sosta mediante la fede e la preghiera, e a tradurre in atti nel corso dei
giorni. Chiamato a suscitare la vita per mezzo del suo insegnamento e della sua
direzione spirituale, caricato della preoccupazione costante di condurre i suoi
fratelli sul cammino che conduce a Dio, il “padre del monastero” deve evitare di
dimenticare ciò che rappresenta nel mezzo della comunità: Cristo medesimo!
Perché
la dimenticanza è un male, che ahimè rimonta a ben lontano… Si usa dire, con
una giustezza teologica impareggiabile, che nel peccato originale, Adamo si è
preferito a Dio e l’ha disprezzato al punto di fare la scelta di sé stesso
contro il suo Creatore. Credo inoltre che, in una certa misura, questo primo
peccato di sospetto nei confronti dell’infinita bontà divina sia consistito in
una spaventevole dimenticanza. Avendo lasciato morire nel proprio cuore la fiducia
verso il proprio Signore, Adamo se n’è andato liberamente sulla via del male e
ha dimenticato ciò che era e il nome che portava: una creatura a immagine di
Dio e costituita nella sua amicizia, un essere voluto per lui stesso e un
figlio di Dio chiamato a condividere, mediante la conoscenza e l’amore, la vita
divina! In fondo, e in risposta alla grande amnesia del peccato delle origini,
tutta la storia della salvezza compiuta perfettamente in e per Gesù Cristo,
offre all’uomo di che ritrovare la memoria. Con ciò, questa fortunata per
quanto laboriosa riunione, riguarda a fortiori ciascuno di noi. Tutti noi
dobbiamo riprendere la via del nostro essere profondo, della nostra realtà
intima e cristiana di figli di Dio. Recuperare continuamente la memoria.
Si
comprende perciò che per san Benedetto l’abate ha il dovere imperativo di
ricordarsi di ciò che è, ovvero un “altro Cristo”, ma anche quello di aiutare i
propri fratelli a ritrovare sempre più la memoria della loro vocazione
profonda. In quest’ottica, nota la Regola, il superiore userà tre mezzi ben
precisi. Il primo – anche se non lo si apprezza affatto a tutta prima – è
quello delle “rimostranze”. Questo termine, in latino, assomiglia all’idea di “grido”.
Quando il monaco riceve un’osservazione, essa non è un avvertimento contro la
sua persona, ma ben diversamente un grido lanciato alla sua memoria, affinché
il suo cuore s’inclini, perché si corregga e ritrovi così la sua vera bellezza secondo
Dio, tutta la nobiltà della sua vocazione a imitare Gesù Cristo. Il secondo
mezzo è la “persuasione”. Qui ancora, l’etimologia aiuta a comprendere di cosa
si tratta veramente. Persuadendo i suoi fratelli, l’abate intende offrire loro
tutti i consigli umani e spirituali fondati sulla Parola di Dio e soprattutto
il Vangelo, che li aiuteranno a non dimenticarsi di sé stessi e a camminare
sempre più sotto lo sguardo di Dio. Infine, san Benedetto esorta il superiore a
risvegliare la memoria dei suoi monaci usando “parole carezzevoli”. Non
adulazioni, bensì ogni genere d’incoraggiamento e buone parole che daranno
fiducia e coraggio, e permetteranno a ciascuno di proseguire sul sentiero del buon
piacere di Dio.
Cari
amici, vedo il grande portico della Quaresima approcciarsi. Per varcarne la
soglia e penetrare in questo tempo liturgico con tutta la diligenza spirituale
e lo zelo richiesti, i tre consigli di san Benedetto evocati qui sopra, ci sono
preziosi. Nel concreto delle nostre giornate, come ci comporteremo davanti alle
diverse forme di correzione fraterna che possono esserci offerte? Accogliendole
come un criterio decisivo per l’adeguamento della nostra vita alle reali attese
del Signore e del prossimo, o come un grido insopportabile che ha il “torto” di
offendere il nostro amor proprio? Ancora, lavoriamo affinché il ricordo di Dio
si stabilisca nella nostra anima, collegando nella nostra memoria gli insegnamenti
dati qui e là attraverso l’omelia domenicale, le letture spirituali svolte
recentemente o ancora i consigli autorizzati di un prete esperto che ci conosce
veramente? Infine, sappiamo profittare degli incoraggiamenti e degli slanci di
fiducia che ci sono prodigati quotidianamente dal nostro circondario, al fine
di avanzare sul cammino della santità alla scuola del Vangelo?
Altrettante
domande alle quali potremo provare di rispondere durante la santa Quaresima.
Vedremo allora che questo “sforzo” del cuore per il quale cercheremo di essere
in spirito con Dio, ci libererà dalla cattiva dimenticanza. Sfuggiremo dall’amnesia
di ciò che siamo dentro e del nome che tutti portiamo: discepoli appassionatamente
docili e amanti di Gesù Cristo, suoi veri amici e, con Lui, co-eredi del regno
eterno.
Fr.
Marc, priore
[Fr. Marc O.S.B., La lettre aux amis, del Monastero Sainte-Marie de la Garde, n. 31, 6 marzo 2019, pp. 1-2, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]