È
ancora possibile a un monaco di leggere Rancé [Dom
Armand-Jean Le Bouthillier de Rancé (1626-1700)] come se non avesse mai sentito
parlare di lui, come se non sapesse nulla delle controversie che il suo nome
evoca immediatamente? In ogni caso, dev’essere difficile, e fra quanti parlano
di lui e lo giudicano, sono rari quelli che hanno letto le sue opere, con o
senza passione. Immaginiamo il lettore ingenuo che legge Rancé non in quanto
storico, per giudicarlo, ma da monaco, per edificarsi. Cosa troverà? Cose
caduche, come in tutte le opere antiche. Ma non rimarrà nulla di valido, e
cosa? Sarà molto o poco? A priori, è possibile prevedere che ciò che resta di
positivo non sia poca cosa. Uno dei segni della grandezza di Rancé non è il
fatto che scrittori come Chateaubriand e Bremond non abbiano disdegnato di
occuparsi di lui? La sfortuna vuole che fossero vittime del loro talento. Ciò
di cui oggi Rancé avrebbe bisogno sarebbe uno storico calmo e sicuro, che
domini il proprio metodo. Si veda il monumento di erudizione che ha iniziato a
costruire mons. Leflon a proposito di Eugène de Mazenod [1].
Così,
anni di pazienti ricerche di documenti, di lettere, di testimonianze lasciate
da Rancé o dai suoi contemporanei, di analisi imparziali di tutti i tasselli di
questo dossier, permetterebbero certamente di “situare” l’opera e la persona di
Rancé in un insieme alla luce del quale lo si potrebbe infine giudicare, e
anzitutto comprendere. Un tale studio storico dovrebbe duplicarsi in uno studio
d’interpretazione dottrinale e letteraria. Vi sarebbero da determinare quali
siano le fonti di Rancé. Le numerose e lunghe citazioni sulle quali spesso si basa
sono tratte direttamente dai testi, o sono dovute a intermediari come il
Baronius? Come concepiva la storia monastica, l’evoluzione delle istituzioni?
Differiva in questo dai suoi contemporanei? Quale uso faceva della Sacra
Scrittura, dei Padri, di san Bernardo? La sua dottrina sulle “mitigazioni” è
veramente lontana da quella di san Bernardo in quel De praecepto et dispensatione che cita così volentieri? Quale parte
spetta, nello stile di Rancé, come in quello di un san Bernardo o di un san Pier
Damiani, ai procedimenti d’espressione del suo tempo? Questo forse spiegherebbe
alcune “esagerazioni” – nell’accezione del termine della tradizione retorica –
simili a quelle che si potrebbero rilevare in molti dei suoi contemporanei, se
per avventura li si leggesse ancora.
Si
potrebbe allungare la lista dei problemi che sarebbero nel programma di un’inchiesta
esaustiva, da cui siamo ancora così lontani. Nell’attesa s’impone un’estrema
prudenza. Almeno si può già, con il senno di tre secoli dopo, invocare il “giudizio
della storia”. In effetti, dov’era la vita, quella vitalità che – talora attraverso
lunghi periodi di scacco apparente – garantisce l’avvenire? Già all’epoca del
conflitto che nel secolo XII oppose Cluny a Cîteaux, Cluny appariva come una
forma ancora assai onesta di vita monastica; ma lo slancio, la giovinezza e le
promesse di crescita erano altrove. Ugualmente, si può ritenere che doveva
esserci una forza intensa nel pensiero di un uomo la cui opera alimenta una
tradizione che, fino a una generazione ancora assai prossima a noi, ha
costituito il vigore di un’istituzione come l’Ordine Cistercense della Stretta
Osservanza.
Qui
non sarà sviluppato che un punto particolare, e in una sola opera di Rancé – ma
fondamentale –, il trattato De la sainteté
et des devoirs de la vie monastique, dove egli aveva esposto un ideale che
i suoi altri scritti commenteranno, difenderanno, ridurranno in “Costituzioni”,
in programma di vita [2]. Quando si percorre questo libro con il pregiudizio che si
trova nella descrizione dell’“oscura Trappa”, non si può che rimanere stupiti
di vedervi parlare della gioia. Ci si accorge ben presto che non si tratta per
nulla di allusioni rapide e rare, ma di menzioni frequenti e talora sviluppate,
di quelle che rivelano una delle “costanti” di una psicologia. Raccogliamo qui,
semplicemente, alcune di queste formule.
[1] Eugène de Mazenod, évêque de Marseille, fondateur des missionaires oblats de Marie Immaculée, 1782-1861, T. I, De la noblesse de robe au ministère des pauvres. Les étapes d'une vocation, 1782-1814, Parigi 1957; T. II, Missions de Provence. Restauration du diocèse de Marseille, 1814-1837, Parigi 1960.
[2] Le citazioni del trattato De la sainteté et des devoirs de la vie monastique sono qui fornite a partire dalla 2a ed., F. Muguet, Parigi 1683. Per comodità di lettura, l'ortografia e la punteggiatura sono state uniformate alle usanze di oggi.
[Dom Jean Leclercq O.S.B., “La
joie dans Rancé”, Collectanea Ordinis
Cisterciensium Reformatorum, 25 (1963), pp. 206-215 (qui pp. 206-207),
trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. / 1 -
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