Trattando
dell’amicitia, sempre minacciata
dalla discordia, Cassiano pone come sesto ed ultimo fondamento della “vera
amicizia”: “credere ogni giorno che si sta per lasciare questo mondo, perché
senza dubbio questo ucciderà in generale ogni specie di vizio” (Conl. 16,6,2-3).
Tale ferma
dottrina di Cassiano si annuncia già nel mirabile sermone di vestizione dell’abate
Pinufio, pezzo che serve da conclusione ai quattro primi libri delle Istituzioni e di introduzione agli otto
seguenti. All’inizio del discorso, Pinufio espone al postulante che la vita che
sta per abbracciare è nient’altro che una “crocifissione con Cristo”, secondo
la parola di san Paolo. Essere crocifissi significa due cose. In primo luogo l’impossibilità
di muoversi spiritualmente intesa come rinuncia ad ogni piacere e ad ogni
peccato. Poi l’attesa di una morte imminente:
“Il
crocifisso non considera le cose presenti, non pensa alle proprie affezioni,
non si cura dell’indomani, non ha alcun desiderio di possedere, non prova né
orgoglio, né desiderio di contestare, né gelosia; non si rattrista per le
ingiurie presenti e non si ricorda di quelle passate, ma si considera già
morto, con il pensiero teso in avanti, verso l’aldilà. Così dobbiamo essere
crocifissi ad ogni cosa mediante il timore del Signore, cioè morti non solo ai
vizi carnali, ma anche agli elementi stessi, fissando gli occhi dell’anima là
dove dobbiamo attenderci di emigrare in ogni istante. Così potremo conservare
mortificate tutte le nostre concupiscenze ed affezioni carnali” (Inst. 4,35).
Anche qui
Cassiano attribuisce al pensiero della morte una universale virtù purificante.
In parecchi passi delle Istituzioni,
il suo benefico ruolo è descritto in termini di indifferenza alla prosperità ed
all’avversità (Inst. 5,41 e 9,13).
Questa nota è particolarmente interessante, perché lega il pensiero della morte
al grande tema che si sviluppa attraverso tutta la prima parte delle Conlationes, nelle Conferenze “pari” (Conl. 2.4.6.10): quello delle situazioni
contrarie, generatrici delle tentazioni opposte, tra le quali il discernimento
– quest’altro mezzo universale – fa seguire all’anima la “via regale” e
rettilinea, che evita le aberrazioni di destra e di sinistra. Sul piano della
preghiera, la formula “O Dio, vieni in mio aiuto;
Signore, vieni presto ad aiutarmi” [Sal 69,2] appare come l’arma
efficace contro queste tentazioni che nascono dalla prosperità quanto dall’avversità
(Conl. 10,10,4-13). Con la sua
portata generale e la sua immancabile efficacia, il pensiero della morte
imminente ha dunque un posto presso quei rimedi sovrani che sono il Deus in adiutorium e la discretio.
[Dom
Adalbert de Vogüé O.S.B. (1924-2011), “Avere ogni giorno davanti agli occhi la
morte come un avvenimento imminente”, in Idem, La comunità. Ordinamento e spiritualità, Edizioni Scritti
Monastici, Abbazia di Praglia 1991, pp. 359-374 (pp. 365-367)]