martedì 22 maggio 2012

La famiglia, culla della Cristianità

Dal 26 al 28 maggio 2012 si svolgerà la 30ma edizione del Pellegrinaggio di Pentecoste, che come vuole la tradizione ripresa da Charles Péguy (1873-1914) – riattivata, nel 1983, nello spirito dei fratelli Henri (1883-1975) e André Charlier (1895-1971) –, accompagna i pellegrini a piedi, dalla cattedrale Notre-Dame di Parigi alla cattedrale Notre-Dame di Chartres, per un totale di circa cento chilometri. A organizzare questo imponente pellegrinaggio, al quale è attesa la partecipazione di oltre diecimila persone, è l'associazione Notre-Dame de Chrétienté, secondo una carta fondativa che vuole questa iniziativa – d'impronta mariana e liturgicamente vincolata alla forma extraordinaria del Rito romano – posta sotto l'egida del motto Tradizione - Cristianità - Missione.
Quest'anno il tema del 30mo pellegrinaggio Parigi-Chartres è La famiglia, culla della Cristianità, come espressione di adesione integrale e difesa del secondo dei punti non negoziabili sui quali Papa Benedetto XVI, a partire dal discorso del 30 marzo 2006, è tornato a più riprese. In questo senso, le tre giornate del pellegrinaggio sono poste rispettivamente sotto il patrocinio di san Giuseppe (26 maggio: La Chiesa, modello della famiglia), dei beati coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi (27 maggio: La famiglia, cammino di santità) e di santa Giovanna d’Arco (28 maggio: La famiglia missionaria).
Mentre invitiamo i lettori di Romualdica a unirsi in preghiera ai pellegrini che si accingono a compiere quest’avventura spirituale e umana, li rimandiamo alla cronaca del Pellegrinaggio di Pentecoste che abbiamo pubblicato l’anno scorso, nonché alla lettura e meditazione dell’omelia pronunciata a Chartres nel 1985, in conclusione di quell'edizione del pellegrinaggio, da Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux: Chartres, 1985: "è un monaco che vi parla".

martedì 15 maggio 2012

Santa Ildegarda di Bingen O.S.B.

Il 10 maggio 2012 Papa Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata S. Em. il Card. Angelo Amato S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nell’Udienza Sua Santità ha esteso alla Chiesa Universale il Culto liturgico in onore di Santa Ildegarda di Bingen, Monaca professa dell’Ordine di San Benedetto, nata a Bermershein (Germania) nel 1089 e morta a Rupertsberg (Germania) il 17 settembre 1179, iscrivendola nel catalogo dei Santi. La mistica tedesca benedettina – su cui si legga un agile articolo introduttivo di Andrea Tornielli – era già venerata come Santa dalla Chiesa, anche se il processo di canonizzazione non era mai giunto a compimento: il Papa, che ora la iscrive ufficialmente nel catalogo dei Santi, le aveva dedicato due intense catechesi nel settembre del 2010: si vedano qui e qui. Riproduciamo di seguito alcuni testi liturgici del proprio della festa (forma extraordinaria del Rito romano) di Santa Ildegarda – la cui ricorrenza è il 17 settembre – come trasmessi dalle diocesi tedesche in cui si è trasmesso il culto.

Hildegard von Bingen, folio del Liber Divinorum Operum (1165)
Primi Vespri (dove è celebrata come festa di prima classe)

Inno

Salve, nostra tu glória,
Exémplar es quæ Vírginum!
Audi benígna súpplices
Tibi canéntes cánticum.

O virgo, quæ mirábilis
Vixísti amóris víctima,
Et nunc beáris fúlgidis
Cæli recépta sédibus.

Vitæ per æquor túrbidum
Tuos cliéntes dírige,
Nobísque amícum cómpara,
Cui te revínxit grátia.

Sicut dolos intérrita
Vicísti, et artes hóstium,
Et robur in discrímine
Sumens, nitébas púlchrior:

Sic bella nos quot íngruunt
Da, te favénte, fúndere,
Virtútis almæ ac sémitam
Vultu seréno cúrrere.

Alat repóstam méntibus
Fidem superna cáritas;
Mores adórnet áureos
Intemeráta cástitas.

Summo Parénti ac Fílio
Tibíque, Sancte Spíritus,
Sit laus, potéstas, glória,
Per sempitérna sæcula. Amen.

Antifona al Magnificat

Hildegárdis prophetíssa, * Spíritus Sancti splendóribus illustráta, vias Dómini revelávit.

Orazione

Deus, qui beátam Hildegárdem Vírginem tuam donis cæléstibus decorásti: tríbue, quæsumus; ut, ejus vestígiis et documéntis insisténtes, a præséntis sæculi calígine ad lucem tuam delectábilem transíre mereámur. Per Dóminum.

Lodi

Antifona al Benedictus

O digníssima Christi sponsa! * quam lux prophetíæ illustrávit, zelus apostólicus inflammávit, láurea vírginum coronávit, divíni amóris incéndium consummávit.

Secondi Vespri

Antifona al Magnificat

Súbveni nobis, Hildegárdis virgo sanctíssima, ætérni regis sponsa, in cujus aula splendéscis sicut stella fulgentíssima.

mercoledì 9 maggio 2012

Lo scopo della vita interiore: la ricerca di Dio

[È con vero piacere che annunciamo l’uscita di un nuovo libro pubblicato dalle Éditions Sainte-Madeleine dell’abbazia benedettina di Le Barroux, dedicato a scoprire e ad approfondire la vita interiore. Il volume, firmato da Un moine bénédictin, ha per titolo Découvrir la vie intérieure. Peut-on devenir l’ami de Dieu? (188 pp., 14,00 euro) e lo si può acquistare tramite la sezione “boutique” del sito Internet dell’abbazia. Invitando calorosamente gli amici di Romualdica alla lettura di questo prezioso testo, offriamo un assaggio del primo capitolo, grazie alla traduzione che ci è stata gentilmente assicurata da sr. Bertilla, oblata del monastero Sainte-Madeleine.]

«Quærite Deum, et vivet anima vestra»
Sal 68,33

«Che cosa cercate?». Sono le prime parole che san Giovanni pone nel suo Vangelo sulle labbra di Nostro Signore (Gv 1,38). La domanda gli era stata posta personalmente, insieme ad Andrea, quando s’impegnarono nella sequela del Maestro. Non l’ha mai dimenticata. Sulla soglia di questo libro, come sul portico d’ingresso della vita interiore, Gesù ci pone la medesima domanda: «Che cosa cercate?». Qual è il senso della nostra vita, la sorgente della nostra esistenza, il fine che perseguiamo? Il cardinale de Bérulle, figura di spicco della Scuola francese di spiritualità del secolo XVII, sottolinea:
«Tutti noi cerchiamo la vita e ignoriamo dove risiede. La vita, la vera vita dell’uomo, non consiste nelle bassezze della terra, nelle delizie del corpo, nelle vanità del cuore, negli onori del mondo e, in una parola, al di fuori di noi… La vita, la vera vita, è in noi, è nell’anima stessa, è nella cosa più propria e intima dell’anima, che è la conoscenza di Dio» [1].
Ma di che conoscenza si tratta? In primo luogo, non di una scienza da acquisire o di una realizzazione personale, ma di un incontro con qualcuno, della scoperta di un Altro.
Per cogliere la purezza d’intenzione che Dio pretende da noi in tale ricerca dello scopo della vita, ecco un’antica storia monastica, il racconto dell’eremita della foresta dei Vosgi. La sua grande reputazione di santità attirava numerosi giovani desiderosi di diventare suoi discepoli. Erano stati tutti rifiutati, tranne uno. La ragione di tale privilegio fu rivelata dallo stesso discepolo dopo la morte del suo maestro.
Ogni volta che un postulante alla vita monastica veniva a bussare alla sua porta, il vecchio eremita gli chiedeva sempre la stessa cosa. Gli domandava perché volesse farsi monaco. La prima volta che il nostro giovane andò dall’eremita, egli gli diede questa risposta:
«Perché voglio imparare a pregare».
«Perché?», gli rispose il vecchio saggio.
«Perché è la scienza più alta».
«Mi dispiace, ma non posso accettarti».
Il nostro aspirante ripartì contrariato, prima di tornare qualche mese più tardi.
«Perché vuoi imparare a pregare?», gli chiese nuovamente l’eremita.
«Per diventare un santo», disse il giovane uomo.
«Sono desolato – rispose il vecchio –, ma non posso accettarti».
Dopo alcuni anni passati a provare a dimenticare il suo vecchio sogno, e ancora perseguitato dal suo desiderio di vita monastica, il giovane uomo riprese il cammino dell’eremitaggio una notte di Natale e disse al vecchio eremita assorto nella preghiera, senza neppure lasciargli il tempo di porre la propria domanda: «Perché voglio trovare Dio!». Allora l’anziano lo accolse a braccia aperte.
Per ammettere un candidato che viene a bussare alla porta del monastero, san Benedetto non esige in definitiva che una sola cosa e considera un solo criterio di vocazione: che l’aspirante cerchi veramente Dio [2]. Lo scopo della vita monastica, come della vita cristiana, non è principalmente di ottenere una perfezione morale. Lo scopo è Dio: amarlo, conoscerlo, servirlo. Questo cambia tutto… perché il monaco, come tutti i cristiani, è colui per il quale Dio è prima di tutto una persona il cui incontro cambia la propria vita.
La domanda iniziale: «Che cosa cercate?» si precisa allora in «Chi cerchi?» (Gv 20,15). È la domanda posta a Maria Maddalena nel giardino del sepolcro dopo la Risurrezione. Un testo medievale, piccolo gioiello della letteratura monastica, sviluppa il dialogo tra Gesù e Maria Maddalena, nel quale il Maestro la invita a passare dalla ricerca esteriore a quella interiore:
«Donna, perché piangi? Chi cerchi? Tu possiedi colui che cerchi e non lo sai! Possiedi la gioia vera ed eterna, e piangi! Possiedi all’interno colui che cerchi all’esterno! In realtà, tu stai all’esterno piangendo vicina alla tomba. La tua anima è il mio sepolcro: io lì non sono morto; vivo, lì mi riposo per sempre, la tua anima è il mio giardino: hai ben visto che io sono il giardiniere; sono il nuovo Adamo, coltivo e custodisco il mio giardino di delizie. Il tuo pianto, il tuo amore, il tuo desiderio, sono opera mia. Mi possiedi in te e non lo sai, ecco perché mi cerchi all’esterno, ed ecco perché appaio esteriormente, per riportarti nell’interiorità, affinché tu trovi all’interno ciò che cerchi all’esterno. Maria, io ti conosco per nome: impara a conoscermi attraverso la fede».
«“Rabbunì!”, che significa “Maestro”; in altre parole: sii per me un maestro che m’insegna a cercarti, a toccarti, a versare per te i miei profumi» [3].
Ripetiamo con Maria questa preghiera: Signore, insegnaci a cercarti! Accresci il nostro desiderio di amarti, di conoscerti! Questo desiderio di Dio ci trasforma, perché noi siamo ciò che attendiamo. «Dimmi cosa desideri e ti dirò chi sei». Se il nostro cuore è rivolto alle cose di quaggiù, si abbassa al loro livello. Ma se il nostro cuore è attratto dalle cose divine, allora Dio lo eleva fino a sé.
Tuttavia, nella nostra ricerca, non dimentichiamo che ogni ricerca di Dio da parte nostra non è che una risposta alla grazia che ci previene, ci sollecita e ci conduce dolcemente e con forza. È ciò che osserva san Giovanni della Croce: «Bisogna sapere che se l’anima cerca Dio, il suo Amato la cerca con amore infinitamente maggiore» [4].

[1] Œuvres de piété, II.
[2] Cfr. Regola di san Benedetto, cap. LVIII.
[3] Frequentemente attribuito a san Bernardo, questo testo è in realtà l’opera di un certo Dreux, monaco di san Nicasio a Reims, estratto dalle sue Meditazioni sulla Passione e la Resurrezione (cap. XV).
[4] Fiamma viva d’amor B, III, 28.

[Un moine bénédictin, Découvrir la vie intérieure. Peut-on devenir l’ami de Dieu?, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2012, pp. 17-20, trad. it. di sr. Bertilla Obl.S.B.]

lunedì 7 maggio 2012

Icona e preghiera a San Giorgio dal Monastero San Benedetto di Bergamo




Monastero San Benedetto, Via Sant'Alessandro 51, 24122 Bergamo, monsanben.bg@tiscali.it