Come tutto l’anno liturgico
trova il suo culmine e centro nella solennità pasquale, così l’intera vita
ascetica è una preparazione alla Pasqua dell’anima, ossia alla sua resurrezione
in Cristo. Spiritualmente, il sacramento del Battesimo c’inserisce in questa
resurrezione; il difficile però sta nel riviverla, a cagione della
concupiscenza e delle passioni; come appunto ci fa dire la Chiesa: «ut paschalis participatio Sacramenti
continua in nostris mentibus perseveret» [1].
Ecco perché san Paolo scriveva
ai suoi neofiti: «Si consurrexistis sunt
quaerite… quae sursum sunt sapite; non quae super terram» [2]. L’Apostolo
prepone la particella suppositiva: «si».
Nostro impegno dev’essere quello di toglierla, e di far sì che la nostra vita
cristiana abbia la santità d’una perenne Pasqua. È per questo che Gesù dona ai
Cristiani il bel titolo di Filii
Resurrectionis.
Un antico carme pasquale
concludeva così:
Praesta
perpetuae gaudia paschae,
qui
pascis propria carne redemptos
qui
ditas roseo Sanguine labra [3].
Oggi san Benedetto, persino
nello Speco di Subiaco, in grazia di un prodigio, celebrò la Santa Pasqua e
desinò.
A Monte Cassino, nel 547, il
giorno di Pasqua discese nella pace della tomba.
Per celebrare ritualmente la
Pasqua, bisogna aver prima bene percorsa la Quaresima. Ecco il motivo per cui
tanto pochi sono coloro per i quali la Pasqua assume quel significato mistico
che le attribuì già san Paolo: «Quae
sursum sunt quaerite quae sursum sunt sapite».
Oggi, s’intende meglio quanto
al principio di Quaresima predicava san Benedetto, esortandoci a vivere
nell’attesa gioiosa e nella speranza di questa Pasqua con Cristo.
Alle tre note benedettine sulla
preparazione quaresimale:
(a) spirituale desiderio,
(b) gaudio,
(c) aspettativa lieta,
corrispondono altre tre
caratteristiche della Pasqua dell’anima, come appunto la vuole l’Apostolo:
(1) Morte alla corruttela del mondo e resurrezione
battesimale. «Si consurrexistis cum
Christo».
(2) Ricerca delle cose celesti: «Quae sursum sunt quarite».
(3) Insensibilità per i gaudii terreni e gusto per quelli
celesti. «Si consurrexistis sunt
quaerite… quae sursum sunt sapite; non quae super terram».
I santi sono generalmente gente
allegra – san Filippo Neri, san Giuseppe Cottolengo, san Giovanni Bosco, il ven.
Placido Riccardi, don Orione – tutte le anime liete, dallo sguardo sereno e
sorridente. Il motivo? Essi sono interamente crocifissi a se medesimi e morti
al mondo. Sono figli di resurrezione
e ne partecipano alla festa.
La Pasqua significa l’uscita
dall’Egitto e l’ingresso nella terra Promessa. Non si deve più tornare
indietro, alla regione delle Piramidi e della Sfinge, dove tiranneggia il
Faraone, il quale condanna a morte tutti i maschi degli Israeliti.
Ecco il senso da dare alle
parole di san Benedetto, quando dice che l’intera vita monastica rappresenta un
viaggio quaresimale verso la Pasqua, ossia, verso la terra promessa.
Sarebbe in un fatale errore chi
pensasse che a Pasqua sia lecito tornare indietro e rallentare la vigilanza, il
fervore e la purezza di coscienza raggiunta in grazia degli Esercizi
Quaresimali. «Omni tempore vita monachi
Quadragesimae debet observationem habere» [4].
San Leone Magno predicava la
stessa cosa ai suoi Romani.
Nonostante il rigore di questa
ascetica cristiana e monastica, guardiamoci tuttavia dall’aspergerla di una
nota di melanconia e di tristezza. Sarebbe questo un cattivo segno. L’opera del
Paraclito si accompagna al «gaudium
Sancti Spiritus» ricordato tanto dall’Apostolo, come dal Patriarca
Cassinese: «Cum gaudio Sancti Spiritus…
sanctum Pascha expectet» [5].
Se questo gaudio non è vietato
neppure in Quaresima, quanto più esso deve accompagnarci durante questo sacro
periodo pasquale!
[1] Postcommunio, martedì di Pasqua. «Affinché la partecipazione del Sacramento
Pasquale perseveri efficacemente nel nostro spirito».
[2] Ad
Col III, 1-2. «Se siete risorti col
Cristo, ambite le cose superne; abbiate il gusto delle cose celesti, e non
delle terrene».
[3] «Ci
concedi il gaudio dell’eterna Pasqua, tu che pasci i redenti della tua carne, e
fai rosseggiare le nostre labbra del tuo roseo Sangue».
[4] Reg.
Cap. XLIX. «In ciascun tempo la vita del
monaco deve custodire l’osservanza quaresimale».
[5] Reg. Cap. XLIX. «Aspetti la
Pasqua con la gioia dello Spirito Santo».
[Beato
Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B. (1880-1954), Un pensiero quotidiano sulla Regola di S. Benedetto, 8 voll., vol. III, Abbazia di Viboldone, San Giuliano Milanese (Milano) 1951,
pp. 1-7]