venerdì 29 gennaio 2010
Ai monaci e alle monache dell'Ordine di San Benedetto / seconda parte
mercoledì 20 gennaio 2010
La perenne lezione della teologia monastica
domenica 17 gennaio 2010
Il segreto dei monaci / ultima parte
sabato 16 gennaio 2010
Il segreto dei monaci / terza parte
venerdì 15 gennaio 2010
Una lettura teologica della Regula Benedicti / ultima parte
martedì 12 gennaio 2010
Una lettura teologica della Regula Benedicti / seconda parte
[Trascrizione di una conferenza spirituale del prof. don Inos Biffi presso il Monastero San Benedetto di Bergamo / 2 - continua]
domenica 10 gennaio 2010
Il segreto dei monaci / seconda parte
mercoledì 6 gennaio 2010
Valore apostolico e sociale della preghiera
Il culto di Dio nella sua forma compiuta e perfetta, la lode divina nella sua espressione liturgica la più ampia e completa, questa è l'occupazione centrale e prima della vita monastica, ciò che san Benedetto chiama l'Opera di Dio, Opus Dei: l'Opera che ha Dio - e Dio soltanto - quale oggetto diretto, l'Opera che magnifica Dio, l'Opera che realizza le cose divine, l'Opera alla quale Dio s'interessa unicamente, di cui è l'agente principale, ma che ha voluto vedere compiersi per mezzo di mani e sulle labbra umane. Il sacrificio eucaristico è l'Opera centrale del culto cattolico, ma attorno a tale sacrificio - al quale i monaci danno una solennità particolare - si raggruppano le diverse ore della lode divina, celebrate anch'esse con tutto lo splendore dei canti e delle cerimonie della Chiesa. Mentre la vita cristiana così com'è condotta comunemente nel mondo non lascia a Dio che una parte minore e dei rapidi istanti - soprattutto da quando la celebrazione solenne dei divini uffici è pressoché cessata ovunque nella Chiesa ed è rimasta deserta dalle anime cristiane là dove essa esiste ancora -, il monaco appartiene con tutta la sua vita, mediante tutte le ore del giorno e della notte al culto divino, alla lode divina: egli veglia costantemente affinché si elevi dalla terra al cielo un concerto di voci che benedicono il nome di Dio. Mentre la terra si spinge fino alla blasfemia e tutto ciò che richiama Dio è percepito come un fardello pesante e un odioso ostacolo, la vita monastica è il tributo prelevato da Dio dalla razza umana; tale dovere essenziale di culto e religione, l'adorazione, la lode, la preghiera e l'azione di grazie, la voce dell'amore e del pentimento saliranno senza fine sino al trono di Dio. Se è vero che Dio cerca in tutte le cose la sua gloria, se il mondo intero non ha altro fine che procurarla, chi può negare che là sia pienamente compiuta l'intenzione divina, ove la vita cristiana non ha altro fine, altro disegno, altra funzione, altro impiego che di essere tutta intera dispiegata per la gloria e l'onore di Dio.
Tale è stato il pensiero di san Benedetto. In tal senso egli ha consacrato alla distribuzione e al regolamento dell'ufficio divino una porzione considerevole della sua Regola, e anzitutto egli chiede a colui che entra in monastero l'attenzione e l'amore per l'ufficio divino. Il monaco non deve anteporre nulla all'Opera di Dio. In effetti è a essa che si riconducono tutti gli altri lavori monastici; è essa che determina l'intero nostro orario, che reclama quasi tutte le opere della nostra giornata, e le migliori. Siamo monaci anzitutto per questo, dobbiamo procurare la gloria di Dio e occuparci di Lui, rendergli onore, omaggio e servizio secondo le forme, le preghiere, i canti e le cerimonie istituite dalla Chiesa. Dobbiamo inoltre associare la nostra voce a quella degli angeli e anticipare le ore dell'eternità. Dobbiamo spendere la vita di quaggiù al fianco di Colui che è unicamente interessante, unicamente simpatico, unicamente attraente.
Altresì, la preghiera della Chiesa, celebrata con intelligenza e pietà per onorare Dio, diventa per noi il mezzo della nostra santificazione. Nulla arricchisce l'anima come il contatto con Dio; nulla santifica l'anima come l'esercizio della sua tenerezza con Dio. Perciò abbeveriamoci alla fonte della santa liturgia, mezzo per rendere gloria a Dio. Questi due elementi agiscono l'uno sull'altro; il contatto con Dio purificando ed elevando la nostra anima, e la nostra anima santificata diventando più capace di offrire a Dio un'adorazione degna di lui. Man mano che si elimina ciò che proviene da noi, entriamo più pienamente nel mistero e nel sacrificio del Signore, fino a che Cristo sia tutto in noi tutti. Non è questa la pienezza della vita cristiana?
Non importa nulla che il mondo non comprenda quest'opera della preghiera e non ne apprezzi affatto la portata, se non talora dal punto di vista estetico: peraltro, quanti penetrano la reale e soprannaturale bellezza dei riti della Chiesa e del canto sacro? Noi tuttavia crediamo al valore apostolico e sociale della nostra preghiera e riteniamo di raggiungere direttamente per suo tramite non solo Dio e noi, ma anche il prossimo. Senza nemmeno parlare del suo segreto influsso sull'andamento provvidenziale degli avvenimenti, non vi è una predicazione assai efficace nello spettacolo di un ufficio divino degnamente celebrato? Sin dai tempi della Chiesa primitiva, la liturgia cattolica è un principio d'unità per il popolo di Dio, e la carità sociale è stata creata da lei. Bisogna sperare di vedere rinascere la vera e profonda solidarietà del popolo cristiano al di fuori di questa riunione di tutti attorno a Dio, in una medesima preghiera e nella comunione di un unico pane vivo? Comunque sia, noi acconsentiamo d'altro canto a non produrre nulla che si veda e si tocchi, e a non avere altra utilità che quella di adorare Dio. E gioiosamente assumiamo quale nostro compito di raggiungere con l'Opus Dei il fine essenziale delle cose, la fine dell'intera creazione intelligente, il fine medesimo della Chiesa.
[Dom Paul Delatte O.S.B. (1848-1937), La vie monastique à l'école de saint Benoît, Abbaye Saint-Pierre de Solesmes, Sablé-sur-Sarthe 1980, pp. 29-32, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]