mercoledì 23 settembre 2009

Commorantem

Cari fratelli, cari amici,
la liturgia ci fa pregare per dom Gérard, un anno dopo il suo dies natalis, il giorno della sua nascita al cielo.
Dom Gérard amava che le omelie fossero assai brevi e che il predicatore si sforzasse d’indirizzare le anime alla vita interiore e insegnasse ai fedeli a gustare gli splendori della vita liturgica.
Oggi, giustamente, la santa liturgia ci fa pregare per dom Gérard con un’orazione che si adatta alla sua anima. Ci fa dire (vi offro una mia traduzione): “Fate Signore che l’anima del vostro servitore dom Gérard, che durante il suo soggiorno sulla terra avete arricchito di qualità sacre, possa esultare per l’eternità nella gloriosa dimora celeste”.
Questa preghiera ci ricorda varie cose.
Anzitutto il primato della grazia. Se non è il Signore che edifica la città invano vi faticano i costruttori. Dom Gérard ci ha sempre insegnato a contare sulla grazia, in maniera audace. I tre monasteri, le due abbazie e il priorato di Sainte-Marie, sono i frutti della grazia e non hanno avvenire se non si poggeranno sempre sulla grazia, in maniera audace.
Secondariamente, quest’orazione ci ricorda che la nostra esistenza sulla terra non è che un semplice soggiorno. Commorantem, è colui che rimane sulla terra, “senza fretta di partire ma con la fretta di arrivare” in cielo, diceva dom Gérard. Questo passaggio sulla terra, se è temporaneo, è nondimeno decisivo, poiché tutto ciò che facciamo risuona nell’eternità. Ecco perché Dio colma le nostre anime di beni sacri e perché ne ha colmato l’anima di dom Gérard. L’anima di dom Gérard era ricca come la tunica della sposa del Salmo 44.
Un’anima appassionata, un’anima piena di libertà, un’anima sempre alla ricerca. Un’anima che cercava Dio e che viveva per trasmetterlo. Un’anima che viveva nel soprannaturale. Era sufficiente vederlo rientrare dal Mattutino con il suo rosario e le sue stampelle per farsi venire voglia di pregare, non come un’osservanza pesante, ma come un riposo nella preghiera.
L’anima di dom Gérard ha ricevuto molto dai suoi maestri. Penso in particolare ad André Charlier, senza dimenticare il nostro fratello oblato Jean-Baptiste Madiran. In una delle sue ultime Lettere agli amici egli svelava ciò che fu la chiave di volta della sua vita soprannatrurale, o piuttosto, ciò che fu la sua grazia propria. Oggi si direbbe il suo carisma. Si tratta della pietà filiale. La lettera era intitolata “Lo choc di un libro”. Un libro richiesto a Jean Madiran, che definisce la pietà filiale come “il riconoscimento di un debito enorme che fa dell’uomo un debitore insolvibile e di ogni civiltà una serie di azioni di grazia e di gratitudine verso quanti ci hanno preceduti”. Mi sembra che i sacris muneris, tutta la ricchezza della sua anima, la sua cultura, il suo coraggio, la sua fede, la sua devozione per la liturgia tradizionale, per le osservanze monastiche, e anche il suo attaccamento alla filosofia dell’essere, tutte le sue ricchezze erano come legate nella sua anima dalla pietà filiale.
E l’orazione continua e ci fa pregare per dom Gérard, affinché esulti per sempre nella dimora celeste. Non ci è difficile immaginare la sua esultanza, anche se la realtà supera quanto possiamo immaginare. Ma noi l’abbiamo visto in questa abbaziale, l’abbiamo visto nel corso delle sacre cerimonie, nei canti intercalati dal silenzio, nella coreografia dell’incensazione attorno all’altare, e si poteva vedere in lui come l’irruzione del cielo sulla terra e rese indistinte le frontiere del mondo visibile e di quello invisibile. Sì, Signore, fate – perché anche questo è un frutto della grazia – che egli esulti per sempre nella dimora celeste.
Amen.

[Omelia pronunciata da dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate di Le Barroux, il 28 febbraio 2009, in occasione del primo anniversario della morte di dom Gérard Calvet, fondatore e primo abate dell’abbazia Sainte-Madeleine, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]