venerdì 2 luglio 2010

Gli oblati benedettini / quinta parte


Penitenza e mortificazione

I digiuni e le astinenze ordinati dalla Chiesa sono le prime e migliori mortificazioni.
Ogni cristiano riceve dalla Provvidenza una somma più o meno grande di pene o di dolori: esse provengono dalla salute, dal carattere, dalle intemperie, dalle durezze della natura, dalle contrarietà dell’esistenza, dalle contraddizioni del mondo circostante, dalle difficoltà inerenti a una situazione, dalla povertà, dal lavoro, e così via. Sono le croci, che puniscono, mortificano, purificano. Gli oblati le accettano con pietà e rassegnazione, lasciandole compiere nella loro anima le salutari purificazioni.
Coloro che ne sentono attrazione fanno bene a imporsi delle penitenze a loro scelta, dopo avere chiesto il parere del proprio confessore. Tutti devono coltivare quello spirito di mortificazione e penitenza che san Benedetto inculca così frequentemente nella Regola e più particolarmente nel capitolo sull’umiltà.
Per ottenere l’umiltà, gli oblati recitano spesso e meditano il Salmo 50 – Miserere mei Deus –, ricorrono con cuore contrito e umiliato all’uso dell’acqua benedetta, e soprattutto si dispongono nel modo migliore a ricevere il sacramento della penitenza.

Il lavoro

San Benedetto vuole che il suo discepolo sia sempre occupato. Docili ai suoi insegnamenti, gli oblati considerano l’ozio come un pericoloso nemico dell’anima, e il lavoro come la condizione dell’uomo durante la vita terrena. Accettano con intera sottomissione alla volontà di Dio e in espiazione dei propri peccati tutto quanto questa legge offre di penoso nella pratica.
Il primo lavoro è sempre quello che incombe all’uomo in ragione della sua situazione di vita e degl’impegni che gli derivano dal suo dovere di stato. Gli occorre lavorare per vivere e per fare vivere i suoi familiari. Gli oblati s’impegnano in ciò con l’impegno e la cura di cui sono capaci; ogni seria negligenza appare loro come un’infrazione alla legge divina.
Ogni uomo ha un’occupazione lavorativa. Quanti non hanno bisogno d’esercitare una professione per guadagnarsi di che vivere sono sottomessi agli obblighi che accompagnano la fortuna: anche questo è un lavoro; assumono dunque delle mansioni utili al bene comune, per le quali gli altri non hanno né il tempo libero né i mezzi per assecondarle.
Compiuti tali doveri, gli oblati si dedicano alla lettura, alle arti o alle opere manuali conformi ai loro gusti e alle loro attitudini, in ciò determinati, tenendo conto delle risorse di cui dispongono. Danno la preferenza alle occupazioni che elevano ulteriormente il loro spirito a Dio e che sono di profitto per la loro famiglia, per i poveri o la società.
Quale che sia il lavoro manuale o intellettuale al quale si dedicano, lo santificano con la preghiera. San Benedetto raccomanda prima del lavoro la recita del versetto “Deus in adiutorium meum intende, Domine ad adiuvandum me festina” (“O Dio, vieni in mio soccorso; Signore, vieni presto in mio aiuto” [RB XXXV,17]), seguito dal Gloria Patri. Terminato il lavoro, si ringrazia il Signore con quest’altro versetto: “Benedictus es, Domine Deus, qui adiuvasti me et consolatus es mei” (“Sii benedetto, Signore Dio, che mi hai aiutato e mi hai consolato” [RB XXXV,16]).
Prima della lettura e dello studio il “Deus in adiutorium” può essere sostituito dall’antifona allo Spirito Santo “Veni Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium, et tui amoris in eis ignem accende” [“Vieni, o Spirito Santo, riempi il cuore dei tuoi fedeli, e accendi in essi il fuoco del tuo amore”], con versetto e orazione [V. Emitte Spiritum tuum et creabuntur. R. Et renovabis faciem terrae. Oremus: Deus, qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione docuisti: da nobis in eodem Spiritu recta sapere, et de eius semper consolatione gaudere. Per Christum Dominum nostrum. Amen. (V. “Manda il tuo Spirito, o Signore, per una nuova creazione”. R. “E rinnoverai la faccia della terra”. Preghiamo. “O Dio che hai illuminato la mente dei tuoi fedeli con la grazia dello Spirito Santo, concedi a noi di godere sempre la luce della sua verità e di essere consolati dai frutti della sua gioiosa presenza. Per Cristo nostro Signore. Amen.”)].

[Dom Jean-Martial Besse (1861-1920), Les Oblats de saint Benoît, opuscolo del 1918, poi in Itinéraires, n. 320, febbraio 1988, pp. 73-90 (qui pp. 85-87), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 5 / continua]