martedì 30 novembre 2021

Ordo Divini Officii 2022


Domenica 28 novembre 2021 è iniziato il Tempo dell’Avvento ed è perciò entrato in vigore il nuovo calendario liturgico. Per quanti desiderano recitare l’Ufficio monastico – che, lo ricordiamo, può essere ascoltato in diretta – e seguire il calendario liturgico nella forma extraordinaria del Rito romano in uso presso l’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, è ora disponibile online in formato pdf l’Ordo Divini Officii 2022.


Il Tempo dAvvento

Per noi cristiani è sempre una gioia intima, quando iniziamo un nuovo anno liturgico. La nostra madre Chiesa ci tende caritatevolmente la mano e ci vuole guidare durante un anno santo, farci vivere un anno di vita divina. Nuovamente il Cristo mistico vuole crescere nelle sue membra, fare circolare nel suo corpo, che è la Chiesa, la corrente di vita divina. Questo è il fine di tutta la liturgia.

L’anno liturgico non ci vuole parlare del passato, ma del presente. Esso non intende offrirci della storia, ma della realtà. Non ci vuole raccontare fatti trascorsi, quanto invece donarci la vita divina e svilupparla in noi.

Durante l’Avvento, sospiriamo con l’ardore dei giusti dell’Antico Testamento dopo la venuta del Salvatore; a Natale, gioiremo della sua nascita e per essa dell’acquisita redenzione; dopo l’Epifania, cercheremo di estendere il regno di Dio in noi e attorno a noi.

[Dom Pius Parsch C.R.S.A. (1884-1954), cit. da Le Guide dans l’anné liturgique, in Missel quotidien complet pour la forme extraordinaire du rite romain, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2013, p. 3, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

venerdì 5 novembre 2021

Considerazioni sul motu proprio «Traditionis custodes»

L’intenzione del Papa, con il motu proprio «Traditionis custodes», è quella di mettere al sicuro o di ripristinare l’unità della Chiesa. Lo strumento proposto a tal fine è l’unificazione totale del rito romano nella forma del Messale di Paolo VI [1963-1978], con le variazioni che ha successivamente subito. Pertanto, la celebrazione della Messa nella forma straordinaria del rito romano, come introdotta da Papa Benedetto XVI [2005-2013] con il motu proprio Summorum pontificum, del 2007, sulla base del Messale esistente da Pio V [1566-1572], nel 1570, a Giovanni XXIII [1958-1963], nel 1962, è stata drasticamente limitata. Il chiaro intento è quello di condannare la forma straordinaria all’estinzione nel lungo periodo.
Nella sua Lettera ai vescovi di tutto il mondo, che accompagna il motu proprio, Papa Francesco cerca di spiegare i motivi che lo hanno indotto, in quanto insignito della suprema autorità della Chiesa, a limitare la liturgia nella forma straordinaria. Al di là della presentazione delle sue reazioni soggettive, però, sarebbe stata opportuna anche un’argomentazione teologica stringente e logicamente comprensibile. Perché l’autorità papale non consiste nell’esigere superficialmente dai fedeli una mera obbedienza, cioè una sottomissione formale della volontà, ma, molto più essenzialmente, nel permettere ai fedeli di essere convinti anche con il consenso della mente. Come disse san Paolo, garbato verso i suoi Corinzi spesso piuttosto indisciplinati, «ma in assemblea preferisco dire cinque parole con la mia intelligenza per istruire anche gli altri, che diecimila parole con il dono delle lingue» (1 Cor. 14, 19).
Questa dicotomia fra buona intenzione e cattiva esecuzione emerge sempre quando le obiezioni degli addetti competenti sono percepite come un ostacolo alle intenzioni dei loro superiori e, dunque, non vengono più neppure espresse. Per quanto graditi possano essere i riferimenti al Vaticano II, bisogna fare attenzione a che le affermazioni del Concilio siano usate con precisione e nel loro contesto. La citazione di sant’Agostino [354-430] sull’appartenenza alla Chiesa «secondo il corpo» e «secondo il cuore» (Lumen gentium, 14), si riferisce alla piena appartenenza alla Chiesa della fede cattolica. Essa consiste nell’incorporazione visibile al corpo di Cristo — comunione creaturale, sacramentale, ecclesiastico-gerarchica — e nell’unione del cuore, nello Spirito Santo. Ciò che questo significa, tuttavia, non è l’obbedienza al Papa e ai vescovi nella disciplina dei sacramenti, ma la grazia santificante, che ci coinvolge pienamente nella Chiesa invisibile come comunione con il Dio Trino.
Poiché l’unità nella confessione della fede rivelata e la celebrazione dei misteri della grazia nei sette sacramenti non richiedono affatto una sterile uniformità in una forma liturgica esteriore, come se la Chiesa fosse qualcosa di paragonabile a una delle tante catene alberghiere internazionali con i loro design omogenei. L’unità dei credenti fra di loro è radicata nell’unità in Dio attraverso la fede, la speranza e l’amore e non ha nulla a che fare con l’uniformità nell’aspetto esteriore, il passo di marcia di una formazione militare, o il pensiero di gruppo dell’era del «big-tech».
Anche dopo il Concilio di Trento [1545-1563] vi è sempre stata una certa diversità — musicale, celebrativa, regionale — nell’organizzazione liturgica delle Messe. L’intenzione di Papa Pio V non era quella di sopprimere la varietà dei riti, ma piuttosto di frenare gli abusi che avevano portato a una devastante mancanza di comprensione fra i riformatori protestanti riguardo alla sostanza del sacrificio della Messa: il suo carattere sacrificale e la Presenza Reale. Nel Messale di Paolo VI, l’omogeneizzazione ritualistica — detta anche rubricistica — viene spezzata, proprio per superare un’esecuzione meccanica a favore di una partecipazione attiva interiore ed esteriore di tutti i fedeli nelle loro rispettive lingue e culture. L’unità del rito latino, tuttavia, deve essere conservata attraverso la stessa struttura liturgica di base e il preciso orientamento delle traduzioni all’originale latino.
La Chiesa romana non deve scaricare la sua responsabilità per l’unità del culto sulle conferenze episcopali. Roma deve vigilare sulla traduzione dei testi normativi del Messale di Paolo VI, come anche dei testi biblici, che potrebbero oscurare i contenuti della fede. Le pretese di «migliorare» i verba domini — per esempio pro multis, «per molti», alla consacrazione, l’et ne nos inducas in tentationem, «e non ci indurre in tentazione», nel Padre Nostro — contraddicono la verità della fede e l’unità della Chiesa molto più che celebrare la Messa secondo il Messale di Giovanni XXIII. La chiave per una comprensione cattolica della liturgia sta nell’intuizione che la sostanza dei sacramenti è data alla Chiesa come segno visibile e mezzo della grazia invisibile in virtù della legge divina, ma che spetta alla Sede Apostolica e, in conformità alla legge, ai vescovi, ordinare la forma esteriore della liturgia, nella misura in cui non esiste già dai tempi apostolici (Sacrosanctum Concilium, 22 § 1).
Le disposizioni di Traditionis custodes sono di natura disciplinare, non dogmatica e possono essere nuovamente modificate da qualsiasi Pontefice futuro. Naturalmente il Papa, nella sua preoccupazione per l’unità della Chiesa nella fede rivelata, è da sostenere pienamente quando la celebrazione della Santa Messa secondo il Messale del 1962 è espressione di resistenza all’autorità del Vaticano II, cioè quando la dottrina della fede e l’etica della Chiesa sono relativizzate o addirittura negate nell’ordine liturgico e pastorale.
In Traditionis custodes il Papa insiste giustamente sul riconoscimento incondizionato del Vaticano II. Nessuno può dirsi cattolico se vuole tornare a prima del Vaticano II — o di qualsiasi altro concilio riconosciuto dal Papa —, identificato come il tempo della «vera» Chiesa, o se vuole lasciare alle spalle quella Chiesa che sarebbe solo stata un passo intermedio verso una «nuova Chiesa». Qualcuno potrebbe mettere a confronto la volontà di Papa Francesco di riportare all’unità i cosiddetti, deplorati «tradizionalisti» — cioè coloro che si oppongono al Messale di Paolo VI — con la sua determinazione a porre fine agli innumerevoli abusi «progressisti» della liturgia — rinnovata secondo i dettami del Vaticano II — che equivalgono ad atti di blasfemia. La paganizzazione della liturgia cattolica — che nella sua essenza non è altro che il culto del Dio Uno e Trino — attraverso la mitologizzazione della natura, l’idolatria dell’ambiente e del clima, così come lo spettacolo della Pachamama [la Madre Terra, in lingua amerindia quechua], sono stati piuttosto controproducenti per il ripristino di una liturgia dignitosa e ortodossa che rifletta la pienezza della fede cattolica.
Nessuno può chiudere gli occhi sul fatto che, oggi, vengono ampiamente denigrati come tradizionalisti anche sacerdoti e laici che celebrano la Messa secondo le rubriche del Messale di san Paolo VI. Gli insegnamenti del Vaticano II sull’unicità della redenzione in Cristo, la piena realizzazione della Chiesa di Cristo nella Chiesa Cattolica, l’essenza interna della liturgia cattolica come adorazione di Dio e mediazione della grazia, la Rivelazione e la sua presenza nella Scrittura e nella Tradizione Apostolica, l’infallibilità del Magistero, il primato del Papa, la sacramentalità della Chiesa, la dignità del sacerdozio, la santità e l’indissolubilità del matrimonio: tutto ciò viene ereticamente negato in aperta contraddizione con il Vaticano II da una maggioranza di vescovi e funzionari laici tedeschi, pur con il camuffamento di frasi a intento pastorale.
E, nonostante tutto l’apparente entusiasmo che esprimono per Papa Francesco, costoro stanno negando categoricamente l’autorità conferitagli da Cristo come successore di Pietro. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede sull’impossibilità di legittimare le unioni omosessuali ed extra-coniugali attraverso una benedizione è ridicolizzato da vescovi, preti e teologi tedeschi — e non solo tedeschi — come mera opinione di funzionari curiali poco qualificati. Qui siamo di fronte a una minaccia all’unità della Chiesa nella fede rivelata, che ricorda per dimensioni la secessione protestante da Roma nel secolo XVI. Data la sproporzione fra la risposta relativamente modesta ai massicci attacchi all’unità della Chiesa presenti nella «via sinodale» tedesca — così come in altre pseudo-riforme — e il duro trattamento punitivo adottato nei confronti della minoranza legata al rito antico, viene in mente l’immagine del vigile del fuoco mal consigliato, che — invece di salvare la casa in fiamme — salva prima il piccolo fienile accanto ad essa.
Senza mostrare la minima forma di empatia, si ignorano i sentimenti religiosi dei partecipanti — spesso giovani — alle Messe secondo il Messale di Giovanni XXIII, del 1962. Invece di apprezzare l’odore delle pecore, il pastore qui le colpisce duramente con il suo bastone. Sembra anche semplicemente ingiusto abolire le celebrazioni del «vecchio» rito solo perché attira alcune persone problematiche: abusus non tollit usum.
Ciò che merita particolare attenzione in Traditionis custodes è l’uso dell’assioma «lex orandi-lex credendi», «regola della preghiera, regola della fede». Questa frase appare per la prima volta nell’Indiculus anti-pelagiano — Contro le superstizioni e il paganesimo — nel passo riguardante i «sacramenti delle preghiere sacerdotali, tramandati dagli apostoli per essere celebrati uniformemente in tutto il mondo e in tutta la Chiesa cattolica, così che la regola della preghiera è la regola della fede» ([HEINRICH] DENZINGER [e PETER] HÜNERMANN, Enchiridion symbolorum, 3). Ciò si riferisce alla sostanza dei sacramenti (in segni e parole), ma non al rito liturgico, esistendone diversi — e con diverse varianti — in epoca patristica. Non si può semplicemente dichiarare che l’ultimo Messale sia l’unica norma valida della fede cattolica senza distinguere fra la «parte che è immutabile in virtù dell’istituzione divina e le parti che sono soggette a cambiamenti» (Sacrosanctum Concilium, 21). I riti liturgici che cambiano non rappresentano una fede diversa, ma testimoniano l’unica e medesima fede apostolica della Chiesa nelle sue diverse espressioni.
La lettera del Papa conferma che questi permette la celebrazione secondo la forma più antica a certe condizioni. Egli indica giustamente la centralità del canone romano nel Messale più recente come cuore del rito romano. Ciò garantisce la continuità cruciale della liturgia romana nella sua essenza, nello sviluppo organico e nell’unità interna. Sicuramente, ci si aspetta che i cultori dell’antica liturgia riconoscano la liturgia rinnovata; così come i sostenitori del Messale di san Paolo VI devono anche confessare che pure la Messa secondo il Messale di san Giovanni XXIII è una vera e valida liturgia cattolica, cioè contiene la sostanza dell’Eucaristia istituita da Cristo e, quindi, vi è e può esservi solo «l’unica Messa di tutti i tempi».
Un po’ più di conoscenza della dogmatica cattolica e della storia della liturgia potrebbe scongiurare l’infelice formazione di partiti contrapposti e anche salvare i vescovi dalla tentazione di agire in modo autoritario, senza amore e con mentalità ristretta, contro i sostenitori della «vecchia» Messa. I vescovi sono designati come pastori dallo Spirito Santo: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge di cui lo Spirito Santo vi ha fatto custodi. Siate pastori della chiesa di Dio, che Egli si è comprata con il proprio sangue» (At. 20, 28). Essi non sono semplici rappresentanti di un ufficio centrale, con possibilità di avanzamento. Il buon pastore si riconosce dal fatto che si preoccupa più della salvezza delle anime che di raccomandarsi a un’autorità superiore con un «buon comportamento» servile. (1 Pt 5, 1-4) Se la legge di non contraddizione si applica ancora, non si può logicamente castigare il carrierismo nella Chiesa e allo stesso tempo promuovere i carrieristi.
Speriamo che le Congregazioni per i Religiosi e per il Culto Divino, con la loro nuova autorità, non si inebrino di potere pensando di dover condurre una campagna di distruzione contro le comunità del vecchio rito, nella sciocca convinzione che così facendo stanno rendendo un servizio alla Chiesa e promuovendo il Vaticano II.
Se la Traditionis custodes deve servire all’unità della Chiesa, ciò può significare solo un’unità nella fede, che ci permette di «giungere alla perfetta conoscenza del Figlio di Dio», cioè all’unità nella verità e nell’amore (cfr. Ef. 4, 12-15).

[Card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, trad. it. con l’autorizzazione dell’autore dell’articolo pubblicato su The Catholic Thing, il 19 luglio 2021, in Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica, anno XLIX, luglio agosto 2021, pp. 71-75. Le inserzioni fra parentesi quadre e il titolo sono redazionali]

lunedì 20 settembre 2021

Estrarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche

Lo scorso 24 giugno abbiamo circondato Dom Marc, in occasione della sua benedizione come primo abate di Sainte-Marie de la Garde. Tutti noi, vescovi, sacerdoti, monaci, fedeli, profondamente uniti nell’affascinante bellezza della liturgia, conserveremo nel cuore una certa esperienza “di Tabor”. L'architettura romanica della chiesa di Moirax, il rito antico, il canto gregoriano, si sono uniti per fare scendere dal cielo una grazia del soprannaturale che non dimenticheremo e ancor meno getteremo nelle tenebre della storia. Vi confesso molto semplicemente che ho avuto come una piccola fitta al cuore, perché questi tre giorni di festa sono stati così luminosi, così caritatevoli, così pieni di speranza, che ho presagito che presto sarebbe stato necessario scendere a valle per affrontare la croce. Due settimane dopo, Papa Francesco ha pubblicato il motu proprio che conoscete. Lo choc è stato terribile per tutti. Che cambiamento dal 1988, quando il Papa san Giovanni Paolo II scriveva:
“A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina, desidero manifestare anche la mia volontà – alla quale chiedo che si associno quelle dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale – di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni” (Motu proprio Ecclesia Dei, 5, c).
Nella lettera che accompagna il motu proprio, non ci siamo affatto riconosciuti nelle accuse mosse di strumentalizzare il messale di san Giovanni XXIII per opporci al Concilio Vaticano II e al magistero successivo, o di crederci la “vera Chiesa”. Tutt’altro. Diversi vescovi si sono chiesti di chi stesse parlando il Papa, perché gli unici che corrispondono a queste rimostranze sono dei chierici o delle comunità che non hanno riconoscimento canonico nella Chiesa. Anche la partecipazione attiva del popolo santo e fedele di Dio non è in discussione. Non ho mai visto una participatio actuosa così intensa come nella prima Messa di Dom Marc: una sacra liturgia di un intero popolo, sacerdoti, monaci, fedeli e angeli discesi dal cielo. E senza alcun merito da parte nostra, quanti fedeli ci testimoniano la loro gratitudine per la bellezza della nostra liturgia.
Finalmente, mi sembra che la questione risieda in due ermeneutiche della riforma della Chiesa. Quella propugnata dal Papa emerito Benedetto XVI, ovvero l’ermeneutica della riforma nella continuità, e quella di Papa Francesco, che è l’ermeneutica della novità. Due parole del Signore le riassumono bene.
Nova et vetera” per la prima e “vino nuovo in otri nuovi” per la seconda. La Chiesa deve sia mantenere la sua identità di popolo eletto con la sua fede, la sua morale, la sua speranza soprannaturale, sia andare avanti adattandosi il più possibile a ogni situazione. È una vera sfida per coloro che hanno ricevuto il sacro ministero, “l’arte delle arti”, come diceva san Gregorio Magno. Perché il pastore deve al contempo custodire fedelmente i princìpi del Signore e i suoi sviluppi, e adattarsi a ciascun caso. Su questi due grandi impegni – che non sono che uno solo – si presentano due grandi tentazioni: quella del custode del museo e quella del rivoluzionario. Gustave Thibon ha sintetizzato queste due insidie come “il caravanserraglio progressista dove tutto si fonde e l’urna integrista dove tutto si separa”. Benedetto XVI, che è il Papa dell’alleanza, aveva trovato una soluzione molto innovativa per resistere a questa confusione, che altro non è se non un’apostasia silenziosa. Ecco perché, su incitamento della Madre Abbadessa Placide, abbiamo lanciato una novena dal 14 al 22 agosto, festa del Cuore Immacolato di Maria, radicandoci nell’atto di consacrazione composto da Dom Gérard:
“Facciamo nostro per sempre il desiderio dei nostri fondatori di considerare come nostro modello il vostro Cuore Immacolato, ‘perché è il tipo compiuto dei due caratteri dell’Opera: la vita interiore e l’immolazione’.
“Vi supplichiamo perciò di allontanare da noi il male dell’orgoglio, la sete di potere, l’attrazione delle grandezze di questo mondo.
“Il diavolo non semini mai fra noi la zizzania della discordia o della gelosia, ma che regnino incessantemente nelle fila della nostra famiglia monastica la pace soprannaturale, lo spirito di sacrificio, l’umiltà del cuore e il perdono delle offese.
“O dolce Vergine Maria, fate che i poveri siano sempre accolti nei nostri monasteri con tenerezza come inviati di Dio, e che lo spirito del secolo, gli assalti dello scisma e dell’eresia si sbriciolino contro le nostre mura, senza mai penetrare fino a noi”.

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 179, 3 settembre 2021, pp. 1-2, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

mercoledì 8 settembre 2021

Note sulle comunità monastiche benedettine che celebrano in rito antico

Monasteri facenti parte della Confederazione Benedettina (O.S.B.)

Dalla famiglia del monastero di Le Barroux dipendono tre abbazie, ciascuna con abate (o abbadessa) in carica:
- Abbazia Sainte-Marie de La Garde (maschile, 17 monaci).
Gli esordi di questa famiglia monastica risalgono al 1970, per opera di Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), che aveva fatto professione monastica presso l’abbazia Notre-Dame de Tournay, figlia dell’abbazia Saint-Benoît d’En Calcat, fondata da Dom Romain Banquet O.S.B. (1840-1929), monaco dell’abbazia Sainte-Marie de la Pierre-qui-Vire, fondata nel 1850 da Dom Jean-Baptiste Muard O.S.B. (1809-1854). Sia la Pierre-qui-Vire sia Tournay fanno parte della Confederazione Benedettina (O.S.B.) nell’ambito della provincia francese della Congregazione Sublacense Cassinese. L’abbazia di Le Barroux e le altre due comunità da essa nate sono state integrate nella Confederazione Benedettina il 25 settembre 2008 e nell’ambito di essa sono giuridicamente dei monasteri “extra Congregationes”: dipendono dalla Santa Sede, per tramite della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” (fino alla sua esistenza).

Dalla Congregazione di Solesmes (originariamente Congregazione di Francia) della Confederazione Benedettina, ovvero della famiglia monastica che ha origine in Dom Prosper Guéranger O.S.B. (1805-1875), è nata nel 1948 l’abbazia Notre-Dame de Fontgombault (64 monaci), dalla quale sono a loro volta nate, in Francia (ciascuna con abate in carica):
- Abbazia Notre Dame de Randol (1971, 35 monaci);
- Abbazia Notre Dame de Triors (1984, 38 monaci);
- Abbazia Notre Dame de Donezan (sorta nel 1994 a Gaussan, trasferitasi nel 2007 a Donezan, 20 monaci).
E negli Stati Uniti (con abate in carica):
Sempre in Francia, nel 2013, l’abbazia di Fontgombault ha integrato con propri monaci (fra cui l’abate in carica) l’abbazia Saint-Paul de Wisques (20 monaci), anch’essa facente parte della Congregazione di Solesmes, che era in procinto di chiudere per mancanza di monaci.

Fra le altre realtà monastiche che celebrano in rito antico e che fanno parte della Confederazione Benedettina (“extra Congregationes”), ricordiamo in Italia il Monastero di San Benedetto in Monte (18 monaci), fondato a Roma nel 1998, eretto canonicamente nel 1999 “sub iurisdictione Abbatis Primatis” (con il nome Prioratus S. Maria Sedes Sapientiae) e trasferito a Norcia nel 2000.

Nel 1885 alcuni monaci dell’abbazia Saint-Pierre di Solesmes vengono inviati in Inghilterra per dare vita a una comunità monastica a Farnborough, nell’Hampshire. Nasce così la Saint Michael’s Abbey. Nel 1947 i religiosi della Congregazione di Solesmes lasciano il monastero, sostituiti dai benedettini della Prinknash Abbey (Congregazione Sublacense), nel villaggio di Cranham, nel Gloucestershire. Nel 1980 la comunità è eretta in priorato conventuale e nel 1990 in abbazia. Attualmente conta circa 5 monaci (con abate in carica) e appartiene alla Confederazione Benedettina, nell’ambito della provincia inglese della Congregazione Sublacense Cassinese. La comunità ha un indulto da parte della Santa Sede per potere celebrare i riti liturgici secondo il Messale tridentino.

Una menzione a parte, in Francia, merita l’abbazia Saint-Joseph de Clairval in località Flavigny-sur-Ozerain (circa 50 monaci, con abate in carica), che ha una storia molto particolare sin dalla sua nascita a Clairval, in Svizzera, nel 1972, per opera di Dom Augustin-Marie Joly O.S.B. (1917-2006). Inizialmente molto vicina a S.E. Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991) e alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, se ne distacca negli anni 1980, dopo essersi trasferita – nel 1976 – in Francia. Nel 1988 la comunità è riconosciuta come monastero di diritto diocesano e nel 1992 il monastero è eretto in abbazia su richiesta della Santa Sede. Dal 1989 il monastero ha lo statuto giuridico di “consociato” della Confederazione Benedettina. Nel 2021 l’abbazia ha fondato un priorato che ha ridato vita all’antico e nobile complesso monastico dell’abbazia di Solignac, fondato agli esordi del secolo VII da sant’Eligio (588-660). Dal punto di vista liturgico l’abbazia francese Saint-Joseph de Clairval celebra la Messa conventuale nella forma ordinaria, in latino e ad orientem, mentre le Messe lette dai monaci – la Messa conventuale non essendo concelebrata – sono per la maggior parte celebrate secondo il rito antico.

Monasteri benedettini di diritto diocesano o simile

In Italia, a Taggia (diocesi di Ventimiglia-Sanremo, dal 2019), esiste la comunità monastica dei Benedettini dell’Immacolata (Monastero benedettino Santa Caterina da Siena, comunità di diritto diocesano, circa 7 monaci), sorta nel 2008, originariamente a Villatalla (diocesi di Albenga-Imperia), per opera di P. Jehan de Belleville B.I., in precedenza monaco presso l’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux.

Nel 2011 è sorto nella diocesi francese di Fréjus-Toulon, nel villaggio di La Garde-Freinet, il Monastère Saint-Benoît, comunità eretta dal vescovo diocesano, S.E. mons. Dominique Rey, come associazione pubblica clericale. Priore della comunità (3 monaci), che nel 2020 si è trasferita nel comune di Brignoles, è il diacono Alcuin Reid (1963-).

Nel 2012 è fondato a Stamullen, una cittadina nella contea di Meath, in Irlanda, il Silverstream Priory (circa 15 monaci), eretto canonicamente nel 2017 come monastero benedettino autonomo di diritto diocesano. Il fondatore e primo superiore, fino al 2020, anno della sua rinuncia alla carica, è P. Mark Daniel Kirby (1952-), originariamente un monaco cistercense.

Nel 2017 un monaco americano dell’abbazia Saint-Joseph de Clairval di Flavigny-sur-Ozerain, P. Pius Mary Noonan O.S.B., ha fondato a Colebrook (Tasmania, Australia) il Notre Dame Priory (6 monaci), che gode del riconoscimento canonico come associazione pubblica di fedeli.

Nel 2019 è iniziata a Sprague (Washington, USA), nella diocesi di Spokane, suffraganea dell’arcidiocesi di Seattle, l’esperienza comunitaria benedettina del Monastery of Mary Mother of the Word.

Un altro monaco (non sacerdote) che aveva fatto la professione monastica presso l’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux e che assieme a P. Jehan de Belleville si era inizialmente recato a Villatalla, frère Toussaint Menut, ha dato vita recentemente all’Ermitage Saint-Bède (Fitilieu, Francia), dove conduce vita eremitica ispirandosi alla Regola di san Benedetto.

Monasteri cistercensi (O.Cist.)

Una considerazione a parte – giacché i cistercensi, sebbene seguano la Regola di san Benedetto, non fanno parte della Confederazione Benedettina – merita il monastero cistercense di Vyšší Brod, nella Repubblica Ceca, la cui fondazione risale al 1259, e nella quale in anni recenti si è tornati – almeno in parte – alle usanze liturgiche tradizionali dell’Ordo Cisterciensis (O.Cist.). Fra i circa 10 monaci che vivono nel monastero vi è Dom Josef Vollberg O.C.S.O., già abate (2006-2016) dell’abbazia trappista di Mariawald (chiusa nel 2018), in Germania, che nel 2008 aveva intrapreso il ritorno alla liturgia e all’osservanza in uso fino al 1963-1964 nell’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza (Trappisti), secondo l’usus di Monte Cistello.

Monasteri benedettini non in piena comunione oppure non in comunione

Un ulteriore discorso a parte meritano le comunità monastiche legate alla celebrazione della Messa in rito antico, ma che non fanno parte della Confederazione Benedettina e che – con maggiore o minore approssimazione – vivono una situazione di non piena comunione con la Chiesa cattolica. Perlopiù, queste comunità sono nate per opera di monaci usciti dall’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux. Le consideriamo seguendo un criterio cronologico.

Segnaliamo anzitutto il Mosteiro da Santa Cruz a Nova Friburgo (Brasile), fondato nel 1987 da sei monaci del Barroux e distaccatosi dall’abbazia Sainte-Madeleine dopo che questa non accettò le consacrazioni episcopali di mons. Lefebvre, nel 1988. Nel 2016 uno dei vescovi consacrati da mons. Lefebvre, mons. Richard Williamson, ha consacrato vescovo – beninteso, senza il consenso della Santa Sede (e nel caso specifico, nemmeno della FSSPX, da cui il movimento della cosiddetta “Resistenza” si è separato) – il superiore della comunità, padre Tomas de Aquino (Miguel Ferreira da Costa, 1954-).

Un’altra comunità monastica originata da un ex monaco dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, padre Cyprian Rodriguez, e che mantiene i propri rapporti con la FSSPX, è l’Our Lady of Guadalupe Monastery, fondato nel 1991 a Silver City (New Mexico, USA).

Nel 2000, quattro monaci del Mosteiro da Santa Cruz di Nova Friburgo (Brasile) si sono trasferiti in Francia per dare vita alla comunità Notre-Dame de Bellaigue. Nel 2008, all’età di 43 anni, muore il priore della comunità, padre Ange Araújo Ferreira da Costa. Il monastero Notre-Dame de Bellaigue gravita nell’orbita della FSSPX e non ha seguito la comunità brasiliana nell’adesione al movimento della cosiddetta “Resistenza”, sebbene non sia chiaro quali siano attualmente (2020-2021) i rapporti – secondo alcune ricostruzioni, di tensione – con la FSSPX.

Dalla comunità Our Lady of Guadalupe Monastery del New Mexico è stato allontanato un monaco, padre Rafael Arizaga, che nel 2013 ha dato vita a un’esperienza monastica – postasi nell’orbita della “Resistenza” di mons. Williamson – che ha preso il nome di Monasterio Benedictino San José (Santa Sofía, Boyaca, Colombia).

Attorno al 2014 tre monaci della comunità Notre-Dame de Bellaigue, dei quali due sacerdoti, fondano a Saint-Victor, nel Cantal, lo Skita Patrum (laddove skita riprende il modello dei piccoli gruppi di eremiti, in questo caso ispirati alla Regola di san Benedetto e alle tradizioni dei Padri). Alla guida della piccola comunità è il padre Jean-Marc Rulleau, il quale prima di diventare monaco a Bellaigue era un sacerdote della Fraternità Sacerdotale San Pio X, per la quale era insegnante al seminario di Ecône.

Nel 2008, il monastero Notre-Dame de Bellaigue acquista il terreno di un ex monastero in Germania, a Monschau, nei pressi di Kalterherberg, e nel 2017 vi si trasferisce un piccolo drappello di monaci, dando vita a un priorato indipendente, il monastero del Cuore Immacolato di Maria di Reichenstein.

PierLuigi Zoccatelli


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sabato 14 agosto 2021

Novena di preghiera per la Messa tradizionale

La comunità monastica dell’Abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux inizia oggi, sabato 14 agosto, una novena affinché la Santissima Vergine ottenga un buon esito al motu proprio Traditionis custodes. Potete unirvi a questa novena recitando la preghiera qui di seguito, adattata alla circostanza...

O Vergine Maria,
Voi che la pietà e l’amore dei vostri figli invocano nel mondo intero come colei che scioglie i nodi, accordateci la grazia di sciogliere tutti i nodi che il motu proprio “Traditionis Custodes” ha creato nel mondo.
Nella vostra tenerezza, guardate con favore il nostro Santo Padre il Papa e i Vescovi, e concedete loro la prudenza e la saggezza che hanno animato Benedetto XVI per ristabilire la pace e l’unità della Chiesa.
Fate che tutti i cristiani possano partecipare liberamente alla grazia del vostro Figlio divino, Nostro Signore Gesù Cristo, nella celebrazione della Messa tradizionale e nella ricezione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.
Così sia.

venerdì 13 agosto 2021

Abbiamo bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia ancora possibile

Reverendissimo Padre, cari fratelli, cari amici,
25 anni fa, l’8 agosto 1996, stavo guidando verso la stazione ferroviaria di Avignone per andare a prendere i miei cari genitori, venuti dagli Stati Uniti per partecipare alla mia ordinazione sacerdotale. Non vedevo mio padre da 9 anni. Il confratello che mi accompagnava mi disse: “25 anni fa, l’8 agosto 1971, è morto mio nonno André Charlier”. L’8 agosto 1971, dunque sono passati esattamente 50 anni dalla morte di André Charlier. Ed è oggi, 8 agosto, che festeggio il mio 25° anniversario di sacerdozio. Lo vedo come un segno della Provvidenza: Dom Gérard mi chiamò al sacerdozio, e attribuì sempre la sua vocazione monastica all’influenza del suo padre spirituale André Charlier. Si può dire che senza André Charlier, il monaco Dom Gérard probabilmente non sarebbe mai esistito, né l’Abbazia di Sainte-Madeleine del Barroux. Allo stesso modo, si può dire che senza John Senior, l’Abbazia di Clear Creek, negli Stati Uniti, non sarebbe mai esistita.
Questa mattina, sto celebrando il mio 25° anniversario di sacerdozio e vorrei dire, con il popolo della Decapoli, che Gesù “ha fatto bene ogni cosa”. Ecco perché, come commento al Vangelo di questa mattina, lasciate che vi racconti la guarigione di un sordomuto, il signor John Nash. Conoscete John Nash? Egli era un matematico americano, nato nella Virginia Occidentale. Nel 1994 divenne famoso in tutto il mondo, quando ricevette il Premio Nobel. Il Vangelo di questa mattina ci parla della guarigione di un sordomuto, ed è tradizione a questo proposito evocare il grande mistero del peccato originale, che ha reso l’umanità sorda e muta. Dopo il peccato originale, senza il battesimo, la Parola di Dio non penetra adeguatamente nell’uomo, l’uomo caduto è sordo; e l’uomo non è in grado di parlare correttamente, di trasmettere agli altri questa medesima parola, l’uomo caduto è muto. Ho pensato che l’esempio di John Nash potesse illustrare un po’ questo mistero del peccato originale. Di recente ho letto la sua biografia, un libro di 450 pagine abbastanza denso, pubblicato in inglese, ma per quanto ne so, non tradotto in francese. Tuttavia, il film A Beautiful Mind, basato su questo libro, esiste in francese. Il grande attore Russell Crowe interpreta il personaggio in modo ammirevole, e il film ha vinto quattro premi Oscar nel 2001. John Nash ha conseguito il dottorato in matematica intorno al 1950, presso la famosa Princeton University, negli Stati Uniti. In quell’ateneo Albert Einstein era un ricercatore, e all’epoca questa università era il centro mondiale per la matematica. Fu per le scoperte che portarono a questo dottorato, ottenuto all’età di 21 anni, che Nash ricevette un Premio Nobel, più di 40 anni dopo. Nel frattempo, si ammalerà gravemente, all’età di 30 anni soffrirà di una grave schizofrenia, così grave che sua moglie divorzierà da lui. John Nash non potrà più insegnare a Princeton; in breve, sperimenterà un crollo totale. La sua schizofrenia lo isolò dal mondo esterno, divenne un “sordomuto” dal punto di vista del rapporto con gli altri. Ma, cosa assai rara, guarirà, dopo 25 anni di prove amare. E tornerà a Princeton, otterrà persino il Premio Nobel per l’Economia, e… si risposerà con sua moglie, nel 2001!
In gran parte, fu grazie all’aiuto di sua moglie, che era per lui come un èffeta, “apriti”, che John Nash fu in grado di guarire. Il momento più commovente del film lo evoca. Mentre John sembra definitivamente perso, sua moglie si inginocchia davanti a lui. Ha appena deciso, d’accordo con lo psichiatra, di tenere John a casa, pur rimanendo divorziato, e di non internarlo nell’ospedale psichiatrico. Ben consapevole dei rischi che comporta, mette la mano sul cuore di John, poi la mano sulla testa malata, e dice molto lentamente: “Ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia ancora possibile”. Seguiranno per lei 15 anni di prove, prima della miracolosa guarigione di John. Senza l’aiuto di sua moglie, probabilmente John Nash non sarebbe mai guarito né avrebbe ricevuto il Premio Nobel. Senza André Charlier, probabilmente questo monastero non esisterebbe. È la comunione dei santi.
Il genetista Jérôme Lejeune ha detto: “C’è qualcosa che colpisce molto il neurologo e il medico che sono, è che c’è davvero una ferita all’origine della natura umana [...] il cuore e la ragione non vivono in ottima sintonia, ed è probabilmente questo il segno del peccato originale”. Cuore e ragione: ecco perché la moglie di John Nash mette la mano sul cuore e sulla testa del marito.
Schematizzando, possiamo dire che la donna è il cuore. Si dice che la donna pensi con il suo cuore. Nel cuore della Chiesa mia Madre, sarò amore, ha detto santa Teresa. L’uomo è la testa, la ragione. Il Papa è la testa della Chiesa. Questa settimana diversi confratelli mi hanno chiesto se, nella mia omelia, avrei parlato del motu proprio di Papa Francesco. Ho risposto: “No, non spetta a me farlo”. Tuttavia, ieri mi è venuta un’idea. Molti di noi vogliono una cosa: che una donna intervenga nella Chiesa. E non una qualsiasi. Ciò che celebreremo tra qualche giorno. Molti di noi pregano affinché questa Donna, Maria, venga, per esempio, ad inginocchiarsi davanti al Santo Padre. Che metta la mano sul cuore del Papa, poi la mano sulla testa del Papa, e gli dica, a proposito di questo motu proprio: “Santissimo Padre, ho bisogno di credere che qualcosa di straordinario sia ancora possibile”. Dopo 25 anni di sacerdozio, questa è la grazia che chiedo a Maria, che è la donna della mia vita.

[Padre Michel O.S.B., monaco dell’Abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, omelia di domenica 8 agosto 2021, in occasione del 25° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

martedì 10 agosto 2021

Padre Daniel-Ange su Traditionis custodes

Sono sbalordito, sconvolto da questo motu proprio. Il minimo che si possa dire è che si rimane ko! Mi unisco alle lacrime di tanti miei amici e di miei cari. Prego affinché non siano tentati dall’acidità, dall’amarezza, addirittura dalla rivolta e dalla disperazione.
Perché tanta durezza, senza un’oncia di misericordia o di compassione? Come non rimanerne confusi e destabilizzati?
Naturalmente, tra questi fratelli cattolici legati alla tradizione, ci sono alcuni che – ahimè! ahimè! – si sono induriti, congelati, sono arretrati, si sono ritirati in un ghetto, fino a rifiutarsi di concelebrare le Messe crismali, il che è inaccettabile. Ma per questa piccola minoranza non sarebbe bastata un forte esortazione, unita a possibili minacce di sanzioni? Ispirandosi al libro della Sapienza: “Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato. [...] Ma hai avuto indulgenza anche di costoro, perché sono uomini. […] giudicando invece a poco a poco, lasciavi posto al pentimento” (12, 2,8,10).
Oasi rinfrescanti in un deserto di apostasia generale.
Per non parlare che della Francia, sa il Papa che ci sono gruppi e comunità meravigliosamente irradianti, che attirano un gran numero di giovani, giovani coppie e famiglie? Sono attratti dal senso del sacro, dalla bellezza liturgica, dalla dimensione contemplativa, dalla bella lingua latina, dalla docilità alla sede di Pietro, dal fervore eucaristico, dalla confessione frequente, dalla fedeltà al rosario, dalla passione per le anime da salvare e da tanti altri elementi che non trovano – ahimè! – in molte delle nostre parrocchie.
Tutti questi elementi non sono profetici? Non dovrebbero interpellarci, stimolarci, coinvolgerci? Non era questa l’intuizione di san Giovanni Paolo II, nel suo motu proprio “Ecclesia Dei”?
Nelle loro assemblee dominano i giovani, i gruppi e le famiglie, la cui pratica domenicale sfiora il 100%. Non si dica che sono nostalgici del passato, anacronistici. È il contrario: latino, Messa ad orientem, gregoriano, talare: è tutto nuovo per loro. Ciò ha tutto il fascino della novità.
C’è da meravigliarsi che le comunità monastiche che mantengono l’ufficio in latino, e talora anche la celebrazione eucaristica secondo il messale di san Giovanni XXIII, siano fiorenti e attirino molti giovani?
Penso in particolare alle comunità che ho la grazia di conoscere personalmente e che stimo e ammiro, come quelle di Le Barroux (monaci e monache) e di Notre Dame de la Garde, nonché i Missionari della Misericordia a Tolone. Che non si dica che non sono comunità missionarie! Attorno alla prima gravita, tra molte altre, il Capitolo di Maria Maddalena, con le sue centinaia di adolescenti e giovani, per non parlare di quanti vanno per i ritiri. Per i secondi: non si fa di meglio in termini di evangelizzazione dei musulmani e dei nostri piccoli pagani sulle spiagge. Per non parlare del Pellegrinaggio di Pentecoste a Chartres, in costante crescita.
Con lo scoutismo e la Comunità di San Martino, questo movimento ecclesiale è quello che dà il maggior numero di vocazioni sacerdotali alla Chiesa. Assisto al bellissimo fervore che regna nel seminario di Witgratzbad, in Baviera, istituito grazie a un certo cardinale... Ratzinger.
In un mondo così feroce dove la lotta per la fedeltà a Gesù e al suo Vangelo è un eroismo, in cui sono già emarginati, disprezzati, derisi nelle scuole, come pure in famiglia, dove tutti i loro valori sono calpestati, quando non prostituiti, dove si trovano terribilmente soli e isolati, così insicuri, a volte al limite della disperazione: perché, ma perché allora negare loro quelle poche roccaforti che danno loro la forza, il coraggio, l’audacia di entrare nella resistenza e resistere? Questo in mezzo alle turbolenze della Chiesa, nel bel mezzo di un crollo della fede nel mondo. La guerra contro Cristo e la sua Chiesa si scatena, siamo nel bel mezzo di un duello omicidio-Principe della vita, i giovani hanno più che mai il diritto di essere sostenuti, rafforzati, armati, semplicemente messi in sicurezza. Non chiudiamo loro alcuni dei nostri rifugi più belli. Come un rifugio d’alta montagna in mezzo alle fessure mortali.
Nell’arido deserto di una società in cui vince “l’apostasia silenziosa dell’uomo che crede di essere felice senza Dio” (GP II), questi gruppi e parrocchie sono autentiche oasi rinfrescanti. I loro fiori più belli: questi giovani e persino i bambini che hanno raggiunto le luminose vette della santità. Come non menzionare una Anne-Gabrielle Caron, della parrocchia dei Missionari della Misericordia a Tolone, la cui causa di beatificazione è già aperta. E la piccola martire Jeanne-Marie Kegelin, in Alsazia, due dei cui fratelli sono sacerdoti della Fraternità San Pietro (posto che questo non sia il motivo che ritarda la sua causa).
Una puntura di sterilizzazione?
Dopo tutto questo, come comprendere che il Papa sembra puntare semplicemente alla loro estinzione, dissoluzione, liquidazione pura e semplice? Mediante la semplice applicazione delle norme ora imposte? Ciò risulta evidente dal fatto che i loro sacerdoti sono strappati dalla loro parrocchia e proibiti di crearne di nuove: non è questa una puntura di sterilizzazione? Che nessun nuovo sacerdote di rito ordinario potrà celebrare la cosiddetta Messa tridentina, senza indulto del suo vescovo che, da parte sua, è tenuto a seguire le direttive romane.
Il peggio: dichiarando che il messale (Messa e altri sacramenti inclusi) di san Giovanni XXIII non appartiene più al rito romano, poiché l’“unica espressione” di esso è ora l’unico messale di Paolo VI. Questo rito è quindi ipso facto relegato al passato, obsoleto, obsoleto, e si trova appeso nel vuoto...
Non è una pugnalata alla schiena, o meglio al cuore, del nostro caro Benedetto XVI? Il suo colpo di genio era stato quello di salvare questo rito semplicemente rendendolo la seconda variante o forma del singolo rito romano. Che coraggio gli volle! E non è stato assolutamente per semplice diplomazia o politica ecclesiale, come insinua il motu proprio. Quante volte ha affermato che questo rito che aveva santificato il popolo cristiano, irrigato tutta la Chiesa, dato tanti frutti di santità per tanti secoli, aveva pieno diritto di cittadinanza ed era parte integrante della liturgia latina e romana.
È stato uno scandalo avere cercato di sbarazzarsene, circa sessant’anni fa. E all’improvviso, brutalmente, con un colpo di penna, eccolo abrogato da un Papa certamente meno liturgico nell’animo di quel Benedetto XVI dall’anima interamente benedettina.
Benedetto XVI, nel suo ritiro monastico, dovrà implorare il suo successore di celebrare nuovamente questo rito che amava così tanto e che era riuscito, magistralmente, a salvare?
Un rischio di scisma o di clandestinità?
Ancora, l’intenzione del nostro Santo Padre è sicuramente bella e buona: proteggere la comunione nel popolo di Dio. Ma è probabile che l’effetto sia esattamente il contrario.
Ne tremo: molti potrebbero essere tentati semplicemente di unirsi a Ecône e alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, alla quale Papa Francesco aveva generosamente teso la mano, nell’anno della Misericordia. Quasi quarant’anni fa, si erano eroicamente staccati da Mons. Lefebvre, per trovare la Chiesa Madre di Roma, accolti a braccia aperte da san Giovanni Paolo II. (Come dimenticare la figura luminosa di Jean-Paul Hivernat, da Ecône a Roma e poi a Versailles, sulla scia della santità). E ora sono messi nella condizione di dire: “Beh, non ci volete più; torniamo da dove siamo venuti. Tanti sacrifici, tutto per niente! Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ci hanno amato, ci hanno capito, così come tanti vescovi meravigliosi e coraggiosi, ed eccoci raggirati, da un giorno all’altro”.
Insomma, c’è il rischio reale di “scismi che fioriranno da tutte le parti se vescovi bruschi impongono il loro potere ai sacerdoti rigidi” (Gabriel Privat). Oppure, sarà la tentazione di sotterrarsi in clandestinità...
La comunione trinitaria non implica forse l’ecumenismo intra-cattolico?
La comunione ecclesiale non è la medesima della Santissima Trinità (Gv 17), cioè quella della bellezza nella sua diversità? Maggiori sono le differenze, a condizione che siano vissute come complementari, più bella è la Chiesa. L’alterità non è una condizione di fertilità? Perché abbiamo tante difficoltà a ricevere, accogliere, amare questi fratelli e sorelle battezzati, con la loro sensibilità, i loro desideri, i loro carismi propri e specifici, anche e soprattutto se non sono i nostri? Perché imporre ai giovani, già così indeboliti, le nostre preferenze? Rispettiamo i nostri fratelli cattolici delle sante Chiese orientali. A Roma stessa è dedicata loro una Congregazione. Siamo stupiti dalle loro sontuose liturgie divine, siano esse copte, etiopi, armene, siriache, maronite, melchite o bizantine – russe o greche – e respingiamo la liturgia latina e romana nella sua espressione tradizionale!
Per essere logici, dovremmo standardizzare tutta la vita monastica o religiosa! Benedettini, cistercensi, certosini, carmelitani, clarisse: addio! Tutti i movimenti spirituali dovrebbero essere uniformati, nella loro fastidiosa diversità. Neocatecumenali, Focolari, Rinnovamento carismatico, Comunione e Liberazione: fuori! Tradizioni e sensibilità benedettine, carmelitane, francescane, domenicane, gesuite, vincenziane, salesiane, ecc.: nella spazzatura!
No e no, l’unità non è uniformità, ma diversità! La comunione non è orizzontalità, ma complementarità!
San Giovanni Paolo II lo aveva espresso bene nel suo motu proprio “Ecclesia Dei”: “Tutti i pastori e gli altri fedeli devono avere una nuova consapevolezza non solo della legittimità, ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità dei carismi e delle tradizioni di spiritualità e apostolato. Questa diversità costituisce anche la bellezza dell’unità nella varietà: questa è la sinfonia che, sotto l’azione dello Spirito Santo, la Chiesa terrena fa salire al Cielo”.
Sentirete le grida e le lacrime dei vostri figli?
Il Santo Padre ha misurato l’impatto, se non il terremoto, che tale intransigenza rischia di provocare, nella Chiesa e anche al di fuori della Chiesa? Che una persona per di più atea, dall’aura indiscutibile, come Michel Onfray, osi ammettere di essere “costernato”, precisando: “La Messa in latino è patrimonio del tempo genealogico della nostra civiltà. Essa è erede storicamente e spiritualmente di una lunga discendenza sacra di rituali, celebrazioni, preghiere, tutte cristallizzate in una forma che offre uno spettacolo totale”. Egli aggiunge con il suo consueto sarcasmo, che ovviamente non faccio mio: “Per coloro che credono in Dio, la Messa in latino sta alla Messa del lungo fiume tranquillo... come la basilica romana contemporanea di Sant’Agostino sta a una sala polivalente in un complesso di palazzi ad Aubervilliers: vi si cercherebbe invano il sacro e la trascendenza”.
Ha pensato al sisma che sperimenteranno i nostri fratelli delle sante Chiese ortodosse? Il motu proprio di Benedetto XVI, da loro molto stimato come un grande teologo, li aveva rassicurati: che la Chiesa latina conserva e protegge fedelmente un rito liturgico che ha attraversato secoli. E ora, per porre la domanda, angosciato: lo getteremo alle ortiche?
Ha previsto il probabile terremoto fra tanti giovani, giovani coppie, intere famiglie che saranno destabilizzate, confuse, scoraggiate, tentate dalla rivolta. Sin qui amavano il loro Papa Francesco, per quanto accattivante e confuso fosse, erano fedeli al Magistero romano, e ora sono attraversati dal dubbio, dalla sfiducia, se non dal rifiuto, con l’amara impressione di essere stati truffati, rinnegati se non traditi.
Come non piangere con loro?
Possa almeno una grande ondata di compassione battesimale, affetto fraterno e paterno dalla parte dei nostri vescovi, preghiere ardenti circondarli, confortarli, consolarli, sostenerli, incoraggiarli, accoglierli. Ardentemente. Generosamente. Vale a dire con amore.
Caro Santo Padre – che amo, stimo e ammiro –, a nome di molti miei amici, giovani e meno giovani, oso condividere con voi, in tutta filiale semplicità, il mio profondo dolore. Ma animato da una folle fiducia, oso sperare che, ascoltando tante lacrime sulle guance dei vostri figli, abbiate il coraggio e l’umiltà di ritornare su una decisione di una tale intransigenza, nonostante la vostra frase finale: “nonostante qualsiasi cosa contraria, anche se degna di particolare menzione”.
Contro ogni speranza, spero!

Fra’ Daniel-Ange
Il 23 luglio,
40° anniversario della mia ordinazione sacerdotale
al Congresso Eucaristico Internazionale di Lourdes

[Padre Daniel-Ange, “Traditionis custodes: une piqûre de stérilisation?”, Le Salon Beige, 10 agosto 2021, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B. - Padre Daniel-Ange de Maupeou d'Ableiges (Bruxelles, 17 ottobre 1932) è un religioso, presbitero e scrittore belga con cittadinanza francese noto come fondatore della scuola di preghiera ed evangelizzazione Jeunesse-Lumière e per i suoi scritti di spiritualità]

venerdì 23 luglio 2021

Riflessioni sul motu proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco

L’incomprensione è ciò che domina leggendo il motu proprio Traditionis Custodes e la lettera di accompagnamento ai vescovi. Non si comprendono né la giustificazione né la necessità di un tale testo, tanto più che il Papa ha legiferato sulla base di un argomento incompleto e di informazioni false.
1 - L’argomento incompleto. Affermare che il motu proprio Ecclesia Dei di Giovanni Paolo II fosse motivato solo da “una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa” non è esatto. Certo, questa era una ragione importante, ma ce n’è stata un’altra omessa da Francesco: “tutti i pastori e gli altri fedeli devono anche avere una nuova consapevolezza non solo della legittimità, ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità dei carismi e delle tradizioni di spiritualità e apostolato. Questa diversità costituisce anche la bellezza dell’unità nella varietà: tale è la sinfonia che, sotto l’azione dello Spirito Santo, la Chiesa terrena fa salire al cielo” (Ecclesia Dei, 5a).
2 - Informazioni false. Papa Francesco sostiene che la generosità di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è stata usata dai tradizionalisti per opporsi alla Messa di Paolo VI e al Concilio Vaticano II mettendo in pericolo l’unità della Chiesa. Scrive: “Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni. [...] Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’. […] è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione”.
Lo stesso vocabolario usato da Francesco è quello della Fraternità Sacerdotale San Pio X: la “vera Chiesa”! Nessun tradizionalista fedele a Roma dice così! Pertanto, la sua osservazione è vera se ci limitiamo alla Fraternità Sacerdotale San Pio X. Ma è falsa se applicata all’ambiente “Ecclesia Dei” nella sua ampia maggioranza. Che ci siano dei casi che corrispondono a quanto dice il Papa è vero, ma sono alquanto minoritari: perché applicare una punizione collettiva per la colpa di pochi, non sarebbe bastato reprimere costoro? Evidentemente, non conosciamo il medesimo mondo tradizionalista del Papa o dei suoi consiglieri, perché semplicemente ciò non corrisponde alla realtà; lo vedono come un mondo omogeneo, che altro non è che quello della Fraternità Sacerdotale San Pio X! Chi consiglia e illumina il Papa su questi argomenti?
Sulla base d’informazioni distorte sulla situazione reale, si fa credere che il Papa risponda a una richiesta che è solo quella di una piccola minoranza, la quale è sempre stata ferocemente ostile alla forma extraordinaria.
3 - L’obiettivo del Papa... e le sue prevedibili drammatiche conseguenze.È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la Messa con il Missale Romanum del 1962”. Volendo difendere l’unità, questo motu proprio porterà incomprensione, disordine, drammi e infine susciterà divisioni invece di ridurle: raggiungerà il contrario del suo obiettivo! Con un colpo di penna, spazza via 35 anni di sforzi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per placare la situazione e portare a una pace certamente imperfetta, ma reale. Anche la sintesi della Conferenza Episcopale Francese, sebbene poco benevola nei confronti del mondo tradizionalista, ha riconosciuto che Summorum Pontificum aveva portato globalmente a una “situazione pacifica”, che la nostra indagine ha ampiamente confermato (cfr. il dossier sui tradizionalisti”, in La Nef, n. 338, luglio-agosto 2021).
Risveglierà la guerra liturgica, aggraverà la resistenza dei tradizionalisti e, soprattutto, condurrà a molti abbandoni in favore della Fraternità Sacerdotale San Pio X (che deve gioire di questo motu proprio, che alimenterà le sue forze e confermerà ciò che non hanno smesso di ripetere dal 1988, vale a dire che non possiamo fidarci di Roma, confortandoli nel rifiuto di qualsiasi riconciliazione). Proprio ciò che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano saputo evitare mediante la loro attenzione nei confronti del mondo tradizionalista. Ciò rischia di essere una grande confusione.
Aggiungiamo un’osservazione importante dal punto di vista storico e psicologico: Paolo VI era pronto a fare concessioni sulla Messa se Mons. Lefebvre non avesse respinto il Vaticano II – fu la famosa dichiarazione del 21 novembre 1974 contro la “Roma modernista” del Concilio che pose difficoltà –; ma Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano capito che la pacificazione liturgica era la condizione necessaria affinché i tradizionalisti più titubanti sul Vaticano II si aprissero al Concilio e lo assimilassero. Stringendo il cappio sulla Messa, Francesco otterrà il risultato opposto a quello legittimamente perseguito.
4 - Due pesi e due misure? Il tono del motu proprio e della lettera è di una tale durezza e severità contro i tradizionalisti che non si può fare a meno di pensare che ci siano due pesi e due misure: mentre Francesco insiste così spesso sulla misericordia, la clemenza, il perdono... mentre è così paziente con la Chiesa di Germania che è sull’orlo dello scisma, lui, il Padre comune, non mostra l’ombra di un segno di amore o di comprensione per coloro che sono comunque una piccola parte del suo gregge! Attraverso questi due testi, i tradizionalisti appaiono dannosi, essendo appena tollerati nelle “riserve indiane” per il tempo necessario a rientrare nei ranghi, con l’obiettivo dichiarato di farli sparire (senza mai chiedersi se potessero dare un contributo alla Chiesa, in termini di giovinezza, dinamismo, vocazioni...). Ci sono così tanti cattolici praticanti e convinti in Occidente che è necessario limitarne drasticamente alcuni di loro?
La storia recente ha dimostrato che disprezzare i tradizionalisti in questo modo, perseguitandoli, non aiuta a farli evolvere; al contrario, si fomenta la resistenza dei più duri, che diventano più rigidi, il che è contrario all’obiettivo di promuovere l’unità. Rendiamo omaggio alla Conferenza Episcopale Francese per il comunicato del 17 luglio, che mostra stima per i “tradizionalisti”: “Essi [i vescovi] desiderano manifestare ai fedeli che celebrano abitualmente secondo il messale di san Giovanni XXIII e ai loro pastori, la loro attenzione, la stima che hanno per lo zelo spirituale di questi fedeli e la loro determinazione a portare avanti insieme la missione, nella comunione della Chiesa e secondo le norme in vigore”.
5 – Il disprezzo per la grande opera di Benedetto XVI! Questi due testi del Papa annullano senza sfumature l’opera di riconciliazione di Giovanni Paolo II e in particolare di Benedetto XVI, partendo da un’analisi dei fatti che è falsa, e si spinge fino a cancellare il contributo essenziale del Papa emerito, che aveva distinto le due forme ordinaria ed extraordinaria del medesimo rito romano. Così facendo, il Papa sopprime al tempo stesso ogni esistenza giuridica all’antica forma extraordinaria – come se non esistesse più –, facendo così precipitare la Chiesa in un’infinita disputa liturgica sullo statuto giuridico della Messa di San Pio V. Si torna al regime di tolleranza secondo modalità più severe di quelle del 1988, quello della “parentesi misericordiosa”... che non è più misericordiosa! Si tratta di un passo indietro di oltre trent’anni per mezzo di un solo gesto di governo.
6 - Quale strategia di Roma si può leggere in filigrana? I due testi di Francesco dimostrano molto chiaramente che il Papa vuole sradicare il mondo tradizionalista nella Chiesa, per fare scomparire la Messa di San Pio V: si fa di tutto per impedire che questo movimento cresca – divieto di ogni nuovo gruppo e percorso a ostacoli per il sacerdote diocesano che volesse celebrare con l’antico ordo –, essendo questo motu proprio in vigore per il tempo in cui i fedeli della forma extraordinaria si adeguino al nuovo messale. Tutto è fatto affinché a lungo termine la Messa tradizionale sia celebrata solo dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X e i suoi satelliti. Sembra quindi che la strategia del Papa sia quella di spingere i recalcitranti verso la Fraternità Sacerdotale San Pio X, affinché tutto l’ambiente tradizionalista vi si ritrovi: saranno così perfettamente controllati e isolati in una riserva indiana separata da Roma e dalle diocesi, ma con la quale si mantiene un legame minimo per evitare uno scisma formale. Questo spiega perché il Papa non cerca più la riconciliazione con la Fraternità Sacerdotale San Pio X, ma mostra una grande generosità nei suoi confronti, riconoscendo la piena validità dei matrimoni e delle confessioni e incoraggiando a riceverli nelle chiese durante i pellegrinaggi, ecc. Tutto ciò ha una sua coerenza... all’esatto opposto di tutti gli sforzi passati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI... per l’unità della Chiesa.
7 - Esclusivismo liturgico? Questo motu proprio non è forse un’occasione, per gli istituti che si rifiutano di celebrare la forma ordinaria – che, precisiamolo, sono una minoranza all’interno della galassia “Ecclesia Dei” –, di mettere in discussione molto seriamente i presupposti liturgici, teologici ed ecclesiali di tale rifiuto? Dal 1988, i Papi esortano a non rifiutare il principio stesso della celebrazione del novus ordo – è vero che le posizioni della Commissione Ecclesia Dei sono state più ondivaghe sull’argomento, non contribuendo a chiarirlo –, il che nulla toglie al carisma proprio di questi istituti per la Messa antica. Benedetto XVI è stato molto esplicito nella sua lettera ai vescovi del 2007 e, a questo proposito, occorre ammettere che le linee non si sono quasi mosse da allora. Obbedendo al Papa su questo punto nevralgico, questi istituti non dimostrerebbero, con il loro stesso esempio, che Francesco sbaglia nella sua analisi?
8 - Conclusione. Tutto ciò è triste perché è ingiusto, quindi è legittimo lamentarsi, argomentare, chiedere instancabilmente una riforma di questo motu proprio o un’applicazione il più flessibile possibile di questo testo, nel rispetto dell’autorità e della funzione del Papa. I vescovi avranno un ruolo essenziale da svolgere, tutto dipenderà da come applicheranno questo motu proprio – le prime reazioni osservate sono incoraggianti, un grande grazie a questi vescovi preoccupati per il loro gregge. Spetta anche a loro riportare a Roma un’informazione più accurata su chi siano realmente i tradizionalisti. La storia recente ha dimostrato che costoro non sono abituati a lasciar perdere senza reagire: speriamo che la maggior parte non cada in una “resistenza” che si traduce nella rivolta e nella disobbedienza aperta: l’esempio da non seguire è quello di Mons. Lefebvre e della Fraternità Sacerdotale San Pio X; vediamo dove questo porta... È difficile soffrire per la Chiesa, ma questo non potrà che dare i suoi frutti...

[Christophe Geffroy, “Réflexions sur le motu proprio Tradionis Custodes du pape François”, La Nef (online), 17 luglio 2021, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

mercoledì 21 luglio 2021

In Christo Jesu

È questo il motto che il nuovo Abate ha scelto. Non c’è formula più spesso ripetuta nel Nuovo Testamento. La si trova decine di volte in san Paolo, in san Giovanni e anche in san Pietro. In tutta la nostra fede cristiana, scopriremmo una formula più piena e profonda? Non sembra. Questa espressione paolina ci invita a tornare costantemente a una verità luminosa e assai riconciliante: il cristiano – a fortiori, il monaco – come il tralcio, è uno con Gesù, l’unica vera Vite; e i cristiani, uniti a Gesù ed essendo uno con Lui, di conseguenza, diventano uno tra di loro. Inoltre, lo dimentichiamo troppo facilmente, essere uniti a Cristo Gesù significa essere uniti a Colui che è la nostra Sapienza, la nostra Giustizia, la nostra Santità e la nostra Redenzione.
Detto questo, fra tutte le ricorrenze, è stato necessario fare una scelta. Ho optato per questa frase di così grande significato dalla Lettera ai Filippesi: “E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil 4,7). La pace, ecco infatti il grande obiettivo della Regola di san Benedetto, come di tutto il Vangelo. È anche il motto benedettino: Pax. Ma non illudiamoci, solo Dio dà la vera pace, Cristo è egli stesso – dice ancora san Paolo – la nostra pace. Questa pace, poiché viene dall’alto e rimane un dono soprannaturale, si propone d’investire le nostre anime e di mantenervi il nostro cuore – il luogo in cui si esercita la nostra capacità di amare – e i nostri pensieri – il luogo della nostra intelligenza –, in Cristo Gesù. Guardare Gesù, imparare a stargli accanto, ad ascoltarlo, ad amarlo e a servirlo, ci conduce a poco a poco a vivere in Lui. Solo così troveremo l’unico fondamento della nostra esistenza terrena per renderla portatrice di tutti i frutti attesi della santità; solo così vivremo dell’unica aspirazione che vale la pena perseguire lungo tutto il cammino che ci conduce a Dio; solo così godremo dell’autentica gioia, quella che incanta il cuore qui sulla terra, quella che, una volta venuto il cielo, troverà la sua completa “esplosione”, per tutti i secoli dei secoli!

[Dom Marc Guillot O.S.B., Abate dell’Abbazia Sainte-Marie de la Garde, La lettre aux amis, n. 38, 15 luglio 2021, p. 1, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

domenica 11 luglio 2021

Reportage e omelie della benedizione abbaziale di Dom Marc Guillot O.S.B.

Come abbiamo già ricordato, il 24 giugno 2021, presso la chiesa dell’antico priorato cluniacense Notre-Dame di Moirax, si è svolta la benedizione abbaziale di Dom Marc Guillot O.S.B., Padre Abate dell’Abbazia Sainte-Marie de la Garde – fondazione risalente al 2002 dell’Abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux –, mediante l’imposizione delle mani di S.E. Mons. Laurent Camiade, vescovo di Cahors. Attraverso i due seguenti link (qui e qui) è possibile accedere ai reportage fotografici della benedizione abbaziale, mentre a questa pagina è possibile leggere l’omelia di S.E. Mons. Hubert Herbreteau, vescovo di Agen, nella cui diocesi si trova l’Abbazia Sainte-Marie de la Garde. Ancora, a questa pagina è possibile accedere al reportage fotografico della prima Messa pontificale di Dom Marc, il 26 giugno, mentre la sua omelia è disponibile a questa pagina. Infine, a questa pagina è possibile accedere al reportage fotografico della Messa tenutasi domenica 27 giugno, sempre nella chiesa Notre-Dame di Moirax, celebrata da Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., Padre Abate dell’Abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux.



sabato 10 luglio 2021

Ordinazione sacerdotale a Le Barroux nella festa di San Benedetto

Domenica 11 luglio 2021, nella solennità di san Benedetto patrono d’Europa, presso l’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, Fr. Jean O.S.B. riceverà l’ordinazione sacerdotale dalle mani di S. Em. il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede. La Messa avrà inizio alle ore 9:30.








mercoledì 30 giugno 2021

Benedizione abbaziale di Dom Marc Guillot O.S.B.

Facendo seguito all’erezione in abbazia del monastero Sainte-Marie de la Garde – fondazione risalente al 2002 dell’Abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux –, di cui avevamo dato notizia lo scorso mese di febbraio, il 24 giugno 2021, presso la chiesa dell’antico priorato cluniacense Notre-Dame di Moirax, si è svolta la benedizione abbaziale di Dom Marc Guillot O.S.B., Padre Abate dell’Abbazia Sainte-Marie de la Garde. Alla presenza di numerosi vescovi, abati, abbadesse, comunità religiose, sacerdoti e fedeli – venuti a testimoniare con la loro presenza e preghiera l’amicizia per il nuovo Padre Abate –, e con una nutrita rappresentanza dell’abbazia del Barroux, guidata dal Padre Abate Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., la benedizione abbaziale si è svolta mediante l’imposizione delle mani di S.E. Mons. Laurent Camiade, vescovo di Cahors, alla presenza di S.E. Hubert Herbreteau, vescovo di Agen, nella cui diocesi si trova l’Abbazia Sainte-Marie de la Garde. Con le parole di Padre Hubert O.S.B., monaco cellerario dell’Abbazia Sainte-Marie de la Garde, “oltre alla gioia che un tale avvenimento rappresenta nella vita di una comunità, i monaci hanno conosciuto anche quella di fare rivivere per oltre tre ore la preghiera liturgica e monastica nella chiesa di questo priorato cluniacense, antico di quasi mille anni. Una nuova pagina si apre nella storia dell’Abbazia Sainte-Marie de la Garde. Ora spetta al Padre Abate di fare fruttificare la grazia ricevuta”.

martedì 8 giugno 2021

Novena a san Giuseppe per la salvaguardia del motu proprio Summorum Pontificum

In comunione di preghiera con l’associazione Notre-Dame de Chrétienté, che organizza ogni anno il Pellegrinaggio di Pentecoste da Parigi a Chartres, proponiamo di unirsi alla Novena a san Giuseppe per la salvaguardia del motu proprio Summorum Pontificum, a partire dal 10 giugno 2021.
L’intenzione è ben esplicitata dal titolo, e ci auguriamo che molti si vogliano unire a questa mobilitazione spirituale. La preghiera non fa tutto, è vero. Ma nulla si ottiene senza la preghiera.
Come anticipato dalle notizie sui media, fra le attualità riguardanti il mondo ecclesiale, sembra porsi un progetto di restrizione riguardante il posto della forma extraordinaria del Rito romano nella vita della Chiesa. E attorno a questo nodo centrale, è il rapporto con il magistero, la pastorale – un insieme ampio e coerente – che taluni auspicherebbero mettere in discussione.
Tradidi quod et accepi. Vi ho trasmesso quello che ho ricevuto. Ecco la definizione di “pastorale tradizionale”, nel caso ci si volesse arrischiare a esplicare il concetto. Essenzialmente, è ciò che vogliamo essere: dei fedeli ricettori della fede cattolica, e quindi dei fedeli trasmettitori.
Quanto invitiamo a chiedere in spirito di preghiera, nella piena e visibile comunione ecclesiale, è di potere continuare a fare l’esperienza piena e serena della Tradizione vivente. Non si tratta solo di un vessillo, bensì di una colonna. Una fonte. La liturgia tradizionale è uno dei canali di questa fonte. Ne abbiamo bisogno, ne abbiamo sete. È vitale.
Riteniamo che il motu proprio Summorum Pontificum abbia creato nella Chiesa le condizioni favorevoli a tale scopo.
“Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti” (Fil 4,6). Facciamo dunque conoscere mediante la preghiera questo bisogno al Padre del cielo, tramite colui che ne è la migliore immagine sulla terra: san Giuseppe. “Per questa sublime dignità, che Dio conferì a questo fedelissimo suo Servo, la Chiesa ebbe sempre in sommo onore e lodi il Beatissimo Giuseppe, dopo la Vergine Madre di Dio, sua sposa, e il suo intervento implorò nei momenti difficili” (beato Pio IX, decreto Quemadmodum Deus).
Come detto in apertura, la novena avrà inizio giovedì 10 giugno 2021, data in cui sarà celebrata una Messa in rendimento di grazie presso la parrocchia Sainte-Odil, a Parigi. Proponiamo di recitare ogni giorno della novena la preghiera A te, o beato Giuseppe e la preghiera Salve, custode del Redentore, che conclude la Lettera Apostolica Patris corde di Papa Francesco, la cui lettura invitiamo a meditare durante la novena.