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Dettaglio della pietra tombale di Dom Gérard, scolpita da
Pascal Beauvais, nella chiesa abbaziale di Le Barroux.
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Dom Gérard Calvet (1927-2008) è stato nel secolo XX, in Provenza, il fondatore di un monastero la cui bella architettura attraverserà i secoli: l’abbazia Sainte-Madeleine, al Barroux, nel Vaucluse.
Considerato
da un altro punto di vista, egli è stato – secondo un’espressione da lui stesso
impiegata – un “resistente” di fronte alla crisi, dottrinale e liturgica, che
ha iniziato ad attraversare la Chiesa prima del Concilio Vaticano II.
Ma
egli è stato soprattutto, a partire dal 1950, un monaco attratto da una vita di
preghiera, una vita secondo la Regola di san Benedetto e una vita comunitaria,
in cui egli s’inscriveva in una tradizione e uno spirito monastico trasmessi
dal Padre Jean-Baptiste Muard (1809-1854), Dom Romain Banquet (1840-1929) e
Madre Marie Cronier (1857-1937).
Nel
1994, circa dieci anni prima della sua rinuncia all’abbaziato, Dom Gérard
concludeva il suo Testamento per il mio successore fissando “i tre pilastri”
sui quali poggiano i monasteri da lui fondati:
1.
La Santa Regola.
2.
La Santa Liturgia.
3.
La permanenza dottrinale.
Al
contempo, Dom Gérard – in quanto Priore e poi Padre Abate – ha voluto mettere i
suoi monaci “al largo”. L’espressione proviene da Padre Muard. Indica una certa
flessibilità, “una grande calma, una grande facilità, una grande semplicità”,
diceva Padre Muard. Oppure, come Dom Romain Banquet ha scritto: “È lo spirito
medesimo della Regola: i princìpi intatti e gli addolcimenti dati con un’attenzione
e una cura materni” [1]. Questo spirito dà la sua peculiare fisionomia all’abbazia
Sainte-Madeleine, come all’abbazia femminile dell’Annunciazione e al priorato
Sainte-Marie de la Garde.
Dom
Gérard è stato “un contemplativo e un lottatore”, ha riassunto Padre
Louis-Marie de Blignières, fondatore – da parte sua – di una comunità di
tradizione domenicana, la Fraternité Saint-Vincent-Ferrier.
Per
lo storico, che non è monaco, tracciare l’itinerario e le battaglie di “lottatore”
è più facile che mostrare il “contemplativo”. A un giornalista che, trent’anni
fa, aveva cercato di raccontare la sua “avventura monastica”, Dom Gérard aveva
scritto con una certa severità e disappunto:
“Il
segreto dei monaci? Nessuno, capitelo bene, da venti secoli nessuno ha svelato
il segreto dei monaci. La loro gioia e il loro tormento, la loro angoscia, la
loro inquietudine bruciante e il lento possesso di una pace conquistata; tutto
questo, mescolato finalmente alla loro azione di grazie, essi portano con sé
sorridendo nella tomba” [2].
Per
non limitarsi agli avvenimenti esteriori, che ridurrebbero Dom Gérard a un
fondatore di monastero e a un resistente tradizionalista, è stato dunque
necessario, per questa biografia, cercare di tracciare la totalità del suo
itinerario: l’infanzia a Bordeaux, in una famiglia di grandi commercianti di
vini; gli otto anni trascorsi alla scuola di Maslacq, dove l’influenza e la
formazione ricevuti da André Charlier (1895-1971) saranno decisivi; la
formazione monastica ricevuta a Madiran e a Tournay; gli anni trascorsi in
Brasile, colorati e poi sempre più inquietanti; in seguito gli interrogativi,
la fondazione di Bédoin nel 1970, la compagnia con mons. Lefebvre per una
quindicina d’anni, poi la rottura nel 1988, per vivere pienamente il sensus
Ecclesiae; la continua battaglia per la messa tradizionale, fino alla vittoria
finale – se così si può dire – del 7 luglio 2007 [3].
L’itinerario
sarebbe incompleto se non si aggiungesse la cultura, la scrittura, le grandi
amicizie e l’instancabile carità per le anime. Il ritratto deve tenere conto
dello spirito cavalleresco che animava Dom Gérard e che lo faceva coinvolgere
in cause e battaglie in cui spirituale e temporale si congiungevano. E anche di
un carattere impulsivo, che poteva sorprendere chi lo incontrava o l’ascoltava
la prima volta.
Il
biografo non potrà altresì nascondere gli errori, le insufficienze, le
contraddizioni, che non erano il lato oscuro del personaggio, bensì – spesso – il
rovescio delle sue qualità e i limiti inerenti a ogni destino umano. Accanto,
lo storico deve inoltre tenere conto del giudizio fornito da uomini di Chiesa
che lo hanno bene, e a lungo, conosciuto. Mons. Pierre Amourier, vicario
generale della diocesi di Avignone quando Dom Gérard giunse a Bédoin, nel 1970,
che è stato in disaccordo con alcune delle sue scelte negli anni seguenti, ne
parlava come di un “appassionato di Dio” [4]. L’espressione è da prendere
letteralmente. Dom Antoine Forgeot, che il 24 ottobre 1977 diventerà il Padre
Abate di Fontgombault, e che lo aveva ben conosciuto sin dal 1969, ha parlato dell’“anima
di fuoco di Dom Gérard, amante dell’assoluto di Dio che lo aveva afferrato e
sedotto” [5].
Questa
biografia cercherà dunque di mostrare le sorgenti profonde e i contrasti di una
personalità.
Nondimeno,
essa non è una storia completa dell’abbazia Sainte-Madeleine e dell’abbazia
Notre-Dame de l’Annonciation, al Barroux. È ancora troppo presto per scrivere
queste due storie, e non lo potranno mai essere completamente perché, come per
tutte le comunità umane senza eccezioni, ci sono dei dolori, delle delusioni,
delle inversioni, che sono troppo difficili da comprendere da un punto di vista
strettamente storico.
La
vita di Dom Gérard è inscritta in una famiglia secondo la carne – i Calvet –, poi
in famiglie monastiche. Questo lavoro storico non sarebbe stato possibile senza
la grande liberalità e la fiducia che mi hanno concesso il Reverendo Padre Dom
Louis-Marie, Abate di Sainte-Madeleine, e la Reverenda Madre Placide, Abbadessa
di Notre-Dame de l’Annonciation. Mi hanno aperto gli archivi conservati nei
loro monasteri, mi hanno lasciato prendere conoscenza delle Cronache delle loro
abbazie – che sono come un libro di famiglia, giorno per giorno – e mi hanno
lasciato interrogare liberamente i monaci e le monache che hanno conosciuto Dom
Gérard.
Tale
lavoro d’investigazione e interrogazione al Barroux e a La Font de Pertus è
stato completato da una ricerca analoga condotta presso altri archivi e con
altri testimoni, in primo luogo la famiglia di Dom Gérard Calvet. Come guida,
la raccomandazione di Leone XIII agli storici:
“La
prima regola della storia è non osare affermare nulla di falso, né tacere qualcosa
di vero; perché nello scrivere non ci siano sospetti di partigianeria o di
avversione” [6].
Alle
fonti d’archivio e alle testimonianze si sono aggiunte delle visite ai luoghi:
Bordeaux, Tauzia, Maslacq, Madiran, Tournay, Montmorin, Bédoin, Montfavet, Le
Barroux e Saint-Pierre de Clairac.
[1]
Dom Denis Martin, La Doctrine monastique de Dom Romain Banquet, Editions de l’abbaye
Saint-Benoît d’En-Calcat, 1943, p. 34.
[2]
Postfazione a Marc Dem, Dom Gérard et l’aventure monastique, 1988, pp. 193-194.
[3]
Benedetto XVI, motu proprio Summorum pontificum, del 7 luglio 2007.
[4]
Testimonianza all’autore di don Louis Picard d’Estelan (Padre Gabriel), del 21
novembre 2012.
[5]
Dom Antoine Forgeot, Prefazione a Benedictus. Lettres aux oblats, Editions
Sainte-Madeleine, 2011, p. 7.
[6]
Leone XIII, Lettera Saepenumero considerantes sugli studi storici, del 18
agosto 1883.
[Yves Chiron, Introduzione, Dom Gérard Calvet. 1927-2008. Tourné vers le Seigneur, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2018, pp. 13-16, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]