Ripercorrendo l’Ufficio proprio di santa Maddalena che la Santa Sede ha concesso in uso all’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, i monaci cantano con felicità e gratitudine la loro santa patrona, in onore della quale hanno messo a punto i testi della celebrazione liturgica che viene cantata ogni anno, nella festa del 22 luglio. Al seguito di santa Maddalena, prima testimone della Resurrezione, i monaci hanno scelto la parte migliore e desiderano farla gustare agli ascoltatori. Un’ora e un quarto di bellezza, pace e contemplazione, un’anticipazione della felicità del Cielo. Edito dalla casa discografica Jade e registrato dall’ingegnere del suono Igor Kirkwood, il CD è disponibile in vendita tramite la “boutique en ligne” dell’abbazia. Di seguito l'Introito Gaudeamus, uno dei 36 brani che compongono questa novità discografica.
giovedì 25 marzo 2010
martedì 16 marzo 2010
San Giuseppe e San Benedetto
[Con l’avvicinarsi della festa di san Giuseppe, il 19 marzo, e di san Benedetto, il 21 marzo (quest'ultima tuttavia posticipata, nel 2010, al 22 marzo), offriamo una nostra traduzione italiana dell’omelia pronunciata da Dom Bertrand de Hédouville O.S.B., abate di Notre-Dame de Randol, nella solennità di san Benedetto dell’11 luglio 2009]
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Fratelli e figli amatissimi,
Eletto Papa quattro anni fa, Joseph Ratzinger scelse il nome di Benedetto. Come ebbe a dire nell’Udienza del 27 aprile 2005: “Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV […] che fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. […] Il nome Benedetto evoca, inoltre, la straordinaria figura del grande ‘Patriarca del monachesimo occidentale’, san Benedetto da Norcia […], punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà. Di questo Padre del Monachesimo occidentale conosciamo la raccomandazione lasciata ai monaci nella sua Regola: ‘Nulla assolutamente antepongano a Cristo’ (RB 72,11). […] Chiedo a san Benedetto di aiutarci a tenere ferma la centralità di Cristo […] nei nostri pensieri e in ogni nostra attività!”.
Ponendosi sotto il patrocinio di san Benedetto, il Papa non ha rinnegato il patrono del suo battesimo, san Giuseppe. Nel corso di un suo recente viaggio in Africa, non ha mancato di festeggiarlo il 19 marzo 2009, affidandogli “tutti coloro che […] hanno ricevuto la grazia di portare questo bel nome” e pregandolo di accordare loro una protezione speciale guidandoli verso il Signore Gesù. Santa Teresa d’Avila consigliava di assumerlo come maestro spirituale; da lui guarita nella sua giovinezza, non l’aveva mai pregato invano. Da intercessore per la salute del corpo, lei lo vedeva intercessore per la salute dell’anima.
Avere due maestri spirituali può essere un ostacolo, se appartengono a due scuole diverse; non è il caso di Giuseppe e di Benedetto, così concordi quant’è possibile. A coloro che non hanno nulla di più caro di Cristo, san Benedetto predica sin dal prologo della sua Regola l’obbedienza, consacrandovi un capitolo fondamentale. Come dice Dom [Paul] Delatte, “si tratta dell’obbedienza immediata e affettuosa, la sola degna di Dio e di noi. Quando un ordine è dato da un superiore, non si conosce alcun ritardo nell’esecuzione; lasciando quanto prima ogni occupazione, si segue con il passo allegro dell’obbedienza la voce di colui che comanda; e nell’agilità dell’amore di Dio, la parola del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo si svolgono assieme”. Sin dall’inizio del primo Vangelo, in tre occasioni, san Giuseppe obbedisce in tal modo. “Gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: ‘Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo’. […] Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (Mt 1,20 e 24). Più tardi, l’angelo del Signore disse a Giuseppe: “‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto’ […]. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto” (Mt 2,13-14). Infine, passato il pericolo, l’angelo del Signore gli disse: “‘Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e vai nella terra d’Israele’. […] Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele” (Mt 2,20-21). Nella sobrietà del racconto, Matteo sottolinea la qualità dell’obbedienza, esprimendo con le medesime parole l’ordine e l’esecuzione immediata.
Lo stesso primo capitolo del Vangelo di san Matteo ci mostra il silenzio eroico di Giuseppe. In occasione del primo intervento dell’angelo, è in silenzio che egli sopportava il dolore che gli provocava la gravidanza di Maria. Nell’imbarazzo quanto alla decisione da prendere, egli non ne ha discusso che in sé stesso. Il suo silenzio salvaguardava la reputazione della Vergine e il segreto del Mistero. È mediante un silenzio pieno di fede e di docilità che ha accolto la rivelazione del miracoloso concepimento di Gesù e l’invito a esserne il padre putativo. Non risponde nulla, o piuttosto la sua risposta consiste nel compiere quanto gli è stato chiesto; prova i suoi sentimenti mediante la sua condotta, più eloquente di un discorso, e adora il mistero in religioso silenzio. Destinato non a scoprire e manifestare il Verbo incarnato, ma a coprirlo e nasconderlo, egli fu sin dalla sua giovinezza l’uomo per eccellenza del raccoglimento e del mistero; la grazia fece di lui un contemplativo. In lui si uniscono obbedienza e silenzio, “questi due modi d’ascoltare Dio” (A. De Vogué, R.S.B. IV, p. 269). Si può immaginare in quale spirito di silenzio vivesse la Santa Famiglia di Nazaret!
Nella sua Regola, san Benedetto fa seguire il capitolo sull’obbedienza da un capitolo sullo spirito di silenzio. Obbedienza e silenzio sono gli attributi classici di Benedetto come di Giuseppe, e altrettanto bisognerebbe dire dell’umiltà, di cui l’uno e l’altro sono espressioni (ibid., p. 267).
San Giuseppe è una fonte della nostra Regola? Nel secolo VI egli era ancora assente dal ciclo liturgico e dalle devozioni cristiane, ma ben presente nei Vangeli dell’infanzia. Meditandoli, Benedetto s’impregnava dell’obbedienza e del silenzio di Giuseppe per trasmetterli ai suoi monaci. “Ripieno dello spirito di tutti i giusti” [Libro II dei Dialoghi, 8], egli aveva lo spirito del giusto Giuseppe. Costui, che non attese di essere dichiarato Patrono della Chiesa per volerle bene, suggerì a Benedetto da Norcia – come dice Dom Delatte – una “piccola Regola alquanto divinamente semplice per essere compresa da un goto ancora incolto e incantare il vecchio romano che era san Gregorio Magno”.
San Matteo ci fa conoscere Giuseppe direttamente all’inizio del suo Vangelo, e ci trasmette delle parole di Gesù nelle quali si può riconoscere l’influenza del suo padre putativo. Il Discorso della Montagna non è forse un ritratto di Giuseppe umile e giusto, la cui “giustizia [supera] quella degli scribi e dei farisei”? (Mt 5,20). “Chi osserverà [questi precetti] e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mt 5,19). Giuseppe li ha insegnati a Gesù.
Si può studiare il Discorso della Montagna senza pensare al capo della Santa Famiglia; ma Gesù non lo poteva pronunciare senza pensare a lui, avendo vissuto nella sua intimità e sotto la sua autorità. Tre capitoli del primo Vangelo, quindi, nei quali Giuseppe era presente, quando Benedetto li leggeva concependo la sua Regola.
Un po’ oltre in quel Vangelo, Gesù dice: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. […] Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,25-27). Giuseppe, “povero del Signore”, è uno di questi “piccoli”; ha svolto il ruolo del Padre presso il Figlio incarnato, che gli ha fatto contemplare, nel suo volto di bambino, il Padre, Signore del cielo e della terra. Prosegue Gesù: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). È in tal modo che Gesù è il Maestro per eccellenza, e che imitandolo, ogni maestro, ogni dottore dev’essere dolce e umile.
Dolci e umili, Giuseppe e Benedetto possono esserci maestri. San Giuseppe dottore della Chiesa? Sì, dottore di vita spirituale, maestro di preghiera; santa Teresa d’Avila lo considerava tale, lei che un giorno sarebbe diventata Dottore della Chiesa!
E Sua Santità Benedetto XVI conferma questo giudizio, lui che si pone alla loro scuola di dolcezza e umiltà per il più gran bene della Chiesa universale.
Quanto a noi, figli di san Benedetto per i voti, la professione religiosa o la devozione, noi dobbiamo, come il Santo Padre, metterci alla scuola di san Giuseppe e di san Benedetto.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
martedì 9 marzo 2010
Ai monaci e alle monache dell'Ordine di San Benedetto / terza parte
Uno di voi, in una lettera ammirevole che testimonia il vostro combattimento interno nei tempi attuali, mi parla "dell'armoniosa bellezza della vita benedettina, in cui il riferimento a Dio, totale, fa di tutta l'esistenza una continua liturgia". Di grazia, non frantumate questa armoniosa bellezza con innovazioni frettolose: è per suo tramite che la vocazione benedettina è giunta a toccare il vostro cuore; essa è composta d'elementi indissolubili dei quali non potrete rigettarne alcuno, pena un impoverimento che vi causerà una sofferenza irrimediabile. Vorrete sbarazzarvi di un canto che ha accompagnato la preghiera di generazioni di monaci per secoli e che è stato il canale di grazie ineffabili per i vostri fratelli e per il mondo? Vorrete fare questo proprio nel tempo in cui, per la vostra cura, questo canto è stato ristabilito nella sua purezza primitiva? Rinuncerete senza versare una lacrima, non dico a tanti capolavori - poiché non si tratta solo di opere del genio umano -, ma a così tanti miracoli della grazia? Scrivendo queste parole, tali miracoli si presentano alla mia memoria, e sono giustamente i più semplici e i più popolari: è la sequenza Victimae pascali laudes in cui la Resurrezione ci è annunciata in una maniera così toccante e familiare; è quell'altra sequenza Veni Sancte Spiritus, che sviluppa la melodia di uno dei più belli alleluia; sono gli inni, fra i quali non c'è che l'imbarazzo della scelta; è lo Stabat Mater, impossibile da cantare, o anche solo da leggere, senza che lacrime di penitenza salgano ai vostri occhi. Se davvero siete pronti a rinunciare a tutto questo, comincerei a tremare per l'Ordine benedettino.
Tali melodie sono la fioritura d'una produzione di molti secoli di cristianità. Potete davvero credere che non importa quale centro di pastorale liturgica, fosse pure nazionale, anche se si applicasse con abnegazione, ci produrrebbe qualcosa che vi si avvicinerebbe, seppur da lontano? Ignorate il mistero della creazione artistica, senza il quale non avreste quest'idea innocente, che si possa spazzare via questo tesoro inestimabile, che si possa fare piazza pulita, che non importa nulla, perché si andrà a rifare tutto questo in meglio. Vi è decisamente un sentimento che i moderni ignorano, ed è il rispetto, in particolare il rispetto delle cose del pensiero. Crediate bene che non ignoriamo affatto il bisogno che spinge ogni epoca a esprimersi con il proprio linguaggio. Noi stessi ci sforziamo di far parlare il nostro tempo con il suo linguaggio; ma non crediamo che per fare questo sia necessario rigettare i modelli più perfetti e soffocare le voci più sante.
[André Charlier (1895-1971), Aux moines et aux moniales de l'Ordre de saint Benoît, articolo-appello del 1967 comparso nel volume Le chant grégorien edito da Dominique Martin Morin (Bouère), di cui una prima versione risale al marzo 1965 (Itinéraires, n. 91), poi in Itinéraires, n. 246, settembre-ottobre 1980, pp. 78-84 (qui pp. 82-83), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 3 / continua]
venerdì 5 marzo 2010
Costruiamo insieme un monastero per il secolo XXI
Un’avventura fuori dall’ordinario accade a dodici chilometri da Agen, in Francia, nel comune di Saint-Pierre-de-Clairac: una comunità di tredici monaci benedettini, inviati dall’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux e installata da sette anni – gli otto fondatori vi si sono stabiliti il 21 novembre 2002, sotto la protezione dell’Immacolata Concezione – sul luogo di un’antica fortezza medievale, si è lanciata nella costruzione di un nuovo monastero. L’11 aprile 2010, nell’Ottava di Pasqua, S.E. mons. Hubert Herbreteau, vescovo di Agen, procederà alla benedizione della prima pietra del monastero Sainte-Marie de la Garde. La prima fase dei lavori di costruzione è valutata attorno a 5 milioni di euro: i monaci hanno bisogno di noi, e associandoci personalmente all’erezione del monastero potremo partecipare alla creazione di un nuovo centro d’irradiamento spirituale e contribuiremo alla crescita di questa giovane comunità. “Aiutateci a raccogliere questa sfida, irrazionale agli occhi del mondo, ma che dà senso alla vita. Diventate costruttori di speranza!” (Dom Louis-Marie, abate di Le Barroux). In questo tempo di Quaresima, offriamo il nostro generoso contributo e aiuto alla costruzione del monastero Sainte-Marie de la Garde. Per ogni informazione, visitate il sito www.jeconstruisunmonastere.com.