lunedì 6 aprile 2020

Omelia per la Domenica delle Palme

Cari Padri,
Cari Fratelli,
Cari Fedeli, che assistete a distanza alla Messa delle Palme, nell’impossibilità di essere presenti fisicamente,
Celebriamo oggi l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. A margine del brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato (Mt 21,1-9), che i monaci conoscono bene, vi è il brano in cui è detto che alcuni Greci chiesero a Filippo d’incontrare Gesù, e Gesù diede questa risposta sorprendente: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Una risposta molto profonda, che duemila anni dopo ci stupisce ancora. Benedetto XVI ne ha fornito una spiegazione, un’interpretazione che i monaci conoscono bene. Gesù non vuole un incontro superficiale, passeggero, curioso. No, egli vuole un incontro assoluto, un dono di sé fino alla morte, perché porti un frutto eterno.
Venerdì prossimo contempleremo Gesù che porta la sua croce, e partecipando a questo grande mistero, facendo noi stessi – in questa chiesa per i monaci, e per la maggior parte dei cristiani a casa loro – la Via Crucis, ci potremo soffermare più seriamente su tre incontri di Gesù. Anzitutto quello con le donne di Gerusalemme. Queste donne, queste madri, si lamentano davanti all’uomo flagellato, incoronato di spine, sfinito, che porta la sua croce per esservi inchiodato e morire. Piangono per questa enorme sofferenza, per questo grande dolore, piangono per questa ingiustizia. E Gesù dice loro: “Non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. […] Allora cominceranno a dire ai monti: ‘Cadete su di noi!’, e alle colline: ‘Copriteci!’. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?” (Lc 23,28-31). In occasione di questo incontro con le donne, Gesù non si vuole fermare alle sofferenze fisiche e morali. Esiste un dolore più grande: quello del legno secco, quello del cuore indurito, del cuore egoista, del cuore che non vede più lontano dell’orizzonte terrestre e dei beni sensibili, o di chi vi si sofferma troppo. Le sofferenze fisiche non hanno che un tempo. Dio le può trasformare in gloria. Ma sfortuna ai cuori ricchi, ai cuori soddisfatti, ai cuori duri, ai cuori turbati. Perché se le sofferenze e le prove di questo mondo non hanno che un tempo, il cuore – lui – è eterno. Esiste una giustizia, la giustizia, quella di Dio. Ed è solo questa, fra tutte le giustizie, a valere per l’eternità.
Vi è poi l’incontro con Simone di Cirene. Sappiamo dalla Scrittura che è stato requisito (un po’ come gli infermieri, i medici, le infermiere). Non sappiamo esattamente quali fossero in quel momento i suoi sentimenti interiori. Ma è evidente che dovette essere per lui una prova. Se i soldati non lo avessero obbligato, non lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà. È stato obbligato a farlo. E fu umiliante essere associato a questo condannato a morte orribilmente ferito, e condannato a morte per blasfemia. Ed ecco che questo giogo che gli si impone, a lui – un giudeo –, ecco che questa croce gli apre il cuore. Siamo certi che Simone di Cirene, questo giudeo greco, divenne cristiano, giacché due suoi figli erano conosciuti e facevano parte della comunità cristiana primitiva. Ciò che agli occhi di tutti, e ai suoi propri, era un fardello, è diventata una grazia, che gli ha aperto gli occhi del cuore. Stendendo le braccia con Gesù sulla croce, lui malgrado, la grazia ha sciolto il suo cuore. E ciò che ai suoi occhi sembrava un’alienazione, ha liberato il suo cuore per l’eternità, perché è stato con Cristo sotto la croce.
Infine, c’è l’incontro con Veronica. Non ce lo dice la Scrittura, ma la Tradizione. Veronica – nome che gli fu certamente dato a causa del suo gesto di mettere un velo sul volto di Cristo –, asciugandogli il viso per compassione, vide imprimersi su questo panno l’icona di Cristo, la “vera icona” – Veronica –, l’autentico ritratto di Cristo. Lei che credeva di rendere un servizio si è trovata gratificata di un dono straordinario. Inversione della situazione.
Quando serviamo il Signore con fatica – talora con pena –, quando curiamo qualcuno – talora mettendo a rischio la nostra salute –, noi diamo realmente qualcosa, ma riceviamo molto di più. Cambiamo il nostro cuore, o piuttosto è Dio a cambiare il nostro cuore e a imprimere il suo volto nella nostra anima. Ed è molto di più del nobile sentimento di avere fatto il bene; è una trasformazione interiore del cuore.
Cari Fratelli, cari Fedeli, possa questa Settimana Santa essere per noi tutti una grazia, la grazia d’incontrare Gesù che ci apra sempre più il cuore, che lo dilati – come dice san Benedetto alla fine del prologo della Regola –, al di là dell’orizzonte terrestre, al di là dei pesi delle prove, e anche al di là di tutto il bene che possiamo fare.
Amen!

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, omelia per la Domenica delle Palme, 5 aprile 2020, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]