mercoledì 28 febbraio 2018

Lo spirito di Cristianità

[Oggi, 28 febbraio 2018, ricorre il decimo anniversario della morte di Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), fondatore e primo abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux. Lo ricordiamo offrendo di seguito la seconda parte (la prima parte qui) di Regard sur la Chrétienté (Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1982, qui pp. 21-29), ripresa in libretto del dialogo dell’inverno 1982 fra Bernard-Romain-Marie Antony e Dom Gérard, originalmente pubblicato nei nn. 99, 100 e 101 del quotidiano Présent. Trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

Il terzo punto del vostro programma è la fedeltà a ciò che chiamate la fedeltà amicale degli antichi. Ricordo lo stupore di qualche amico allontanato dalla vita cristiana, che avevo portato da voi qualche anno fa. Ne erano rimasti impressionati, e avevano un po’ di paura. Vi consideravano dei “guru” inaccessibili; hanno scoperto l’ospitalità benedettina, impregnata di semplicità e carità amichevole. Ce lo potete spiegare?

Alcuni cattolici hanno voluto reagire contro le deformazioni di una carità svuotata della sua sostanza e ridotta a una vaga filantropia umanitaria. Così hanno rinchiuso la carità dietro barriere irte di punte, in preda a un costante sospetto, senza più alcuna libertà d’espressione. La virtù della carità si trova perciò priva di quella potenza d’irradiamento che le permetteva un tempo di penetrare la vita degli uomini, i loro patti, le loro alleanze, le loro amicizie.
Nella Regola di san Benedetto, per esempio, c’è un pensiero mirabile, sotto forma di massima, che si fonda sulla Sacra Scrittura: “Honorare omnes homines”, onorare tutti gli uomini. È il principio medesimo dell’ospitalità benedettina. Quell’onore che rendiamo a ciò che l’uomo porta in sé di sacro, è questo che ha fondato la civiltà cristiana; ciò che ha permesso agli uomini di rispettarsi, di rispettare l’immagine di Dio, quella scintilla di divino che portano in loro. Siamo tutti eredi di una certa ricchezza, di una tradizione nazionale e religiosa; e questo fonda tra gli uomini un accordo che dovrà essere al contempo penetrato e protetto dalla carità.
Non si vede perché la carità non debba venire in soccorso di tali valori per svilupparli, coltivarli e forse rivelarli loro; per porli sotto la luce di Dio, in maniera che siano salvati dai fanatismi, salvati da tutti i naufragi del peccato originale, perché possano accedere alla vita soprannaturale. Si tratta di quello che non cessa di dirci il nostro amico Gustave Thibon.

In fondo, è tutto il problema dell’articolazione dello spirituale sul temporale. Non è stata propriamente l’opera della Cristianità?

Certamente. E lo potrebbe essere anche oggi, ma a una condizione, di ritrovare quell’attitudine amorevole d’onore e di benevolenza, di fiducia generosa e di libertà. A forza di essere perseguitati dallo Stato […], i nostri sacerdoti fedeli non sono sempre disposti in quel senso, è comprensibile. Ma è necessario che vi pervengano, sotto pena d’isolamento e di fanatismo. Sarebbe desolante che il Nemico avesse ragione di loro in questo modo. Non si può ricostruire la Cristianità senza ricorrere allo spirito di Cristianità.

Cosa intendete esattamente per spirito di Cristianità?

Se la Cristianità è lo stato di una civiltà penetrata dal cristianesimo, lo spirito di Cristianità è evidentemente la Fede, l’impregnazione della Fede, lo sguardo della Fede penetrante e illuminante tutta la realtà terrestre. È altresì quella intelligenza del cuore, quella bontà intuitiva che faceva dire a Blanc de Saint-Bonnet: “La gloria della carità è d’intuire”. Ecco lo spirito di Cristianità: intuire, fra gli esseri, talora sviati, quali saranno adatti a lavorare per il Regno. Intuire, fra le manifestazioni dell’arte o della cultura, quelle che saranno adatte a esprimere il soprannaturale; a condizione, evidentemente, di raddrizzarli dolcemente, di purificarli, talora di “re-ispirarli”; sarà questo il lavoro dei santi, di quelli almeno che fra di loro sono più attenti ai gemiti dello spirito e alla nascita dolorosa della creazione.
Penso in particolare ad alcuni grandi santi del Medioevo, a un sant’Ugo di Cluny, a un san Bernardo di Clairvaux, nell’anima dei quali grazia e cultura umana non avevano divorziato: costoro furono i testimoni, se non i padri, della Cristianità. Sappiamo, per esempio, che Pietro il Venerabile, abate di Cluny, guidava una squadra di traduttori incaricati di tradurre in latino il Corano, di cui stabilì così la prima traduzione europea? Tale squadra di traduttori comprendeva un inglese, un francese, un cristiano spagnolo che aveva vissuto sotto la dominazione araba, e un musulmano.
Lo troverete spiegato in un libro sorprendente da poco pubblicato: L’Eglise au risque de l’histoire, di Jean Dumont. Lo stesso autore racconta che il re Alfonso VII di Castiglia, artefice della Reconquista spagnola nel secolo XII, aveva affidato il comando della famosa fortezza di Calatrava, dunque l’autorità sui templari, a Rabbi Juda, figlio del principe ebreo spagnolo Rabbi Josef ben Ezra. Non più per i templari che per il re, questa nomina non sembrava anomala: la Castiglia riconosceva dei principi ebrei, perché i loro figli non potevano comandare delle fortezze? In Castiglia, ugualmente, ci sono stati dei governatori di fortezze cristiane scelti fra i mori. E che belle alleanze senza confusione fra i sovrani e gli uomini di Chiesa!
È un cluniacense francese il primo vescovo di Toledo riconquistata. Dal 1050, il re Ferdinando di Castiglia si è riconosciuto suo vassallo spirituale, offrendo di pagargli un tributo annuo di mille pezzi d’oro. Ecco come agivano gli uomini che hanno fatto la Cristianità; perché non marceremo sui loro passi? Ritroveremo un giorno questo senso umano, questa libertà affettuosa, per trattare con gli uomini del nostro tempo? Non vedo perché non vi si debba pervenire; se la carità non è capace di questo, significa che non è la carità. La carità è una comunicazione, un’effusione dell’amore divino.

È la carità in atto, viva e agente, ciò che chiamate lo spirito di Cristianità?

Sì, e dirò molto semplicemente: è lo spirito cattolico. Lo spirito cattolico è il contrario dello spirito settario, dello spirito di partito. Alcuni confondono cattolicesimo e spirito di cappella; il termine cattolico significa universale. Il cattolicesimo è dunque la pienezza del Vangelo che afferra l’uomo e l’universo per fargli cantare la gloria di Dio; è una grande liturgia, l’arte di fare ascendere tutte le cose a Dio: la scienza, la filosofia, la vita sociale, l’ordine politico. È l’arte di aiutare gli uomini a scoprirsi secondo ciò che hanno di meglio, e di portare il gioiello del loro patrimonio umano e culturale a Dio. Quando diciamo “Cristianità”, si aggiunge una sfumatura alquanto concreta, molto storica: i costumi, i canti, i monumenti d’arte e della poesia che ci hanno lasciato gli antichi.
La Cristianità è la germinazione e la fioritura del Vangelo su un pezzo di terra. Diceva Charles Péguy: “Occorre che una santità salga dalla terra”. Non intendeva affatto dire che era la terra a potere produrre la santità; voleva che la santità prendesse radici, che si sposasse alla terra, e che dalla terra salisse portando il frutto. Non la voleva lasciare nei libri, nelle sacrestie o nei gruppuscoli. Occorre che essa salga, e che sollevi la terra. Evidentemente, egli pensava a questa terra di Francia che ha prodotto tanti frutti di santità, di una santità legata alla razza e alla vita degli uomini.

Lei ritiene che oggi sia ancora possibile uno spazio di Cristianità?

Il mondo moderno si è accanito nel distruggere le condizioni necessarie all’avvenimento di una Cristianità. C’è la coalizione contro la legge naturale, contro il patto iniziale dell’uomo con la creazione, contro il rispetto della terra e la dignità dei costumi contadini. Come potrebbe nascere un fiore di Cristianità nel mondo tecnologizzato, in preda al caos e alla dismisura? Eppure, la Chiesa ha bisogno di un regime di Cristianità, senza il quale ella non può che promulgare leggi: Sed quis leges sine moribus? A che servono le leggi senza i costumi? Poi, il principio essenziale della Cristianità esiste sempre: è la bontà di Dio; l’immensa bontà di Dio che ha lasciato una traccia sulla creazione. E il grido di san Bruno –  “O Bonitas” – risuona lungo la storia dei secoli come una splendida confessione, perché la Cristianità è il riflesso sociale assai imperfetto –  comunque un riflesso – della bontà di Dio. L’ordine sociale, malgrado le sue ambiguità, rimane in grado di riflettere qualcosa della santità e della bontà di Dio: “Tu visiti la terra e la disseti”, come dice il Salmo.
Il Medioevo è stato dissetato dalla presenza di Dio. Grazie all’irradiamento dei grandi santi, è il bene che finisce per trionfare sul male. Ciò risplende nella vita di un san Francesco d’Assisi. I santi sono stati dei fondatori di Cristianità, non solo in quanto intercessori per le città temporali, ma perché avevano questo ardore, questo candore di volere a ogni costo che la terra rifletta il cielo, che tutto parli della bellezza e della bontà di Dio. La vita terrestre non disponeva di alcuna zona profana che potesse essere abbandonata a Satana. Costoro volevano che tutto salga al cielo come una grande sacra liturgia; anche le cose più umili, anche quelle che all’inizio sembrano le più compromesse dalle passioni umane, come la guerra o il mestiere delle armi.
È la Cristianità che ha inventato la cavalleria, gli ordini militari, la quarantena, la tregua di Dio. Ciò limitava singolarmente l’esercizio di una guerra senza odio, che scorge nell’avversario di oggi l’alleato, se non l’amico di domani. Eccoci così informati sul grado di carità dei nostri antichi. Facciamo nostra questa osservazione di un mistico: “Non è alla maniera in cui qualcuno mi parla di Dio che vedo se ha conosciuto il fuoco dell’amore, ma alla maniera in cui mi parla delle realtà umane”.

Nella vostra lettera, Padre, avete detto che volete fondare al Barroux un monastero di Cristianità. Cosa significa?

Ebbene, del tutto semplicemente, che i monasteri sono, per vocazione, dei pezzi di cielo sulla terra, anzitutto dei luoghi d’incontro con Dio, e poi con gli uomini. L’autentico ecumenismo è quello della Tradizione. Un antico ha detto: “Più approfondisco la Tradizione, più ritrovo gli altri”. Ciò si ricollega alle nostre osservazioni, perché la nostra liturgia tradizionale attira i giovani: questa teologia in azione costituisce la migliore risposta […] all’inganno. È stato detto dell’abbazia di Cluny che essa aveva instaurato una civiltà della bontà. Ma Cluny non solo distribuiva frumento in tempo di carestia. I monaci seminavano la pace, la concordia, riconciliando i principi, consigliando i re.
Non è quindi solo una civiltà dell’elemosina, ma una civiltà dell’amicizia, che crea i legami fra gli uomini, che opera per irradiamento e osmosi. Ciò non impedisce il rigore dottrinale, ma questo carattere dello spirito diventerà un servizio d’amore.

Tali princìpi di civiltà devono essere attribuiti a qualche uomo di genio o ad altre comunità monastiche che caratterizzavano l’Europa del Medioevo?

È una domanda alla quale è difficile rispondere; la storia ci ha trasmesso i nomi di alcuni grandi santi che furono in effetti dei costruttori, e dei capi spirituali. Ma le comunità costituivano come una grande via lattea in cui si fondono gli individui, e le società cristiane presero il loro modello del tutto naturalmente sulle comunità monastiche. L’uomo del Medioevo è nato da questo. Poiché la Regola di san Benedetto propone tutta una educazione dell’uomo; e questa educazione si fonda evidentemente anzitutto sulla preghiera, ma anche sulla vita di comunità, sulle umili virtù di nascondimento di sé, di mutuo soccorso, di pazienza, di rispetto, di cortesia e di buonumore. Sono le virtù che hanno fatto le società cristiane, e mi spingerei a dire che si tratta di virtù politiche.
Ma se il nostro monastero si vuole un monastero di Cristianità è anche perché esso sarà stato costruito con le preghiere e le elemosine di centinaia di famiglie che pregano per noi ogni sera. Allora come rifiuteremo noi di essere a nostra volta un punto di riferimento, un punto fisso, un’oasi di pace, dove i nostri fratelli affaticati dalle lotte del secolo potranno fare una sosta e restaurare le loro forze? Penso specialmente ai giovani, che vengono a fare dei campeggi attorno al monastero durante l’estate, agli scout, ai seminaristi, e così via.
È soprattutto guardando il cielo e vivendo per il cielo che attireremo questo dono assai prezioso dal Creatore, cioè l’avvento di una Cristianità.
Mio caro, vorrei concludere questo dialogo su ciò che è la fonte segreta delle nostre vite: Dio. La certezza di essere amati da Dio. Infinitamente. Il desiderio di fare delle nostre vite una risposta d’amore. Per andare fino al fondo del mio pensiero, vi dirò che senza dubbio noi non vedremo con i nostri occhi il sorgere dell’aurora di una Cristianità, e questo non ha alcuna importanza. Ma reclamiamo l’onore di lavorare per essa con lo studio, con la preghiera e – meglio ancora, se il Signore si degna di darcene la grazia – con il sangue del martirio.
Anche questo fa parte della Tradizione.

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