lunedì 30 ottobre 2017

Il monaco ha diritti?

Non cercate nella Regola l’espressione “i diritti dell’uomo”; non la troverete. Dunque i monaci non hanno alcun diritto? Così formulata, nessuno. Se non, forse, che nel capitolo sulle obbedienze impossibili, è detto che il monaco ha il diritto di segnalare al superiore che l’ordine dato è superiore alle sue forze.
Ma per comprendere il pensiero di san Benedetto, la bella armonia che egli vuole fare regnare nel chiostro, facciamo qualche esempio. Il monaco ha diritto di possedere una penna, della carta e tutte le altre cose indispensabili alla sua vita contemplativa? Sembra di si, perché san Benedetto giudica questi oggetti indispensabili, ma egli non dice esplicitamente che il monaco “ha il diritto” di averli a suo uso; dice che l’abate “ha il dovere” di darglieli. Un altro esempio: l’abate ha il diritto di essere obbedito dai monaci? In nessuna parte della Regola troverete questo diritto espresso in modo così diretto. No, san Benedetto intende semplicemente che i monaci hanno il dovere di obbedire al loro superiore. I monaci hanno il diritto di mantenere il loro ruolo nella comunità e di ricevere un medesimo affetto da parte dell’abate? San Benedetto non dice così, ma che il superiore ha il dovere di non perturbare l’ordine senza ragione e soprattutto di non fare preferenze tra le persone. San Benedetto insiste quindi sui doveri reciproci e non sui diritti. 
Tutto ciò sembra del tutto uguale, poiché infine i monaci hanno le loro penne, il padre abate è obbedito e l’ordine è rispettato. Ma non è affatto uguale, perché nell’una e nell’altra formula lo spirito è del tutto diverso e finanche agli antipodi. L’una, insistendo sui doveri, favorisce la carità; l’altra, insistendo sui diritti, favorisce l’egoismo. Finalmente, è la differenza tra la città di Dio, in cui l’amore per Dio e il prossimo arriva all’odio di sé, e la città del diavolo, dove l’amore per sé arriva all’odio per Dio e il prossimo.
È questa una della ragioni per cui san Benedetto vieta ogni mormorazione in comunità. In effetti, le mormorazioni sono spesso dovute alla rivendicazione dei diritti. Già all’inizio della Regola, san Benedetto prende in giro quei sedicenti monaci che chiamano santo tutto quello che torna loro comodo. Il monaco non deve mai reclamare nulla per sé, ciò che esprime bene che l’anima del monaco si eleva a Dio pensando non ai propri diritti, bensì ai propri doveri. Lo stesso vale per le famiglie. San Paolo non richiama i mutui diritti degli sposi, ma i loro doveri, e specialmente quelli del marito, che si deve sacrificare per la moglie. Così è per le relazioni tra genitori e figli.
Ciò vale inoltre per le aziende. Nei colloqui di lavoro si presentano dei giovani candidati che portano sottobraccio un dossier contenente i loro innumerevoli diritti: la riduzione del tempo di lavoro, le ferie e altri grandi valori repubblicani. E se gli imprenditori non pensano che ai loro profitti, come meravigliarsi del circolo vizioso che porta ai conflitti?
Possiamo applicare il medesimo ragionamento alla stampa. Se la regola suprema è il “diritto di sapere”, come stupirsi di tante mancanze verso il dovere della carità e il rispetto dell’onore di ciascuno? Il peggio è che, da quando la legge consente l’aborto – ormai diventato un diritto fondamentale della donna –, lo spirito della società è passato dai diritti del bambino – che infine sono i doveri dei genitori – a un diritto al bambino. È diabolico.
Ma noi abbiamo l’esempio e la grazia di Gesù Cristo, il quale non ha reclamato il diritto di essere trattato come uguale a Dio, ma ha compiuto il suo dovere fino alla fine. Imitiamolo.

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 163, 22 settembre 2017, pp. 1-2]

Share/Save/Bookmark