martedì 13 dicembre 2016

Calendario 2017 dei monaci di Norcia

Nel corso degli anni, e particolarmente negli ultimi mesi, ci siamo occupati a più riprese dei monaci benedettini del Monastero San Benedetto di Norcia (si veda per esempio qui, qui e qui), una comunità monastica internazionale con membri provenienti dagli Stati Uniti, Indonesia, Brasile, Germania, Canada e Inghilterra, che dedica una cura particolare alla celebrazione liturgica secondo le usanze tradizionali della famiglia benedettina e la forma extraordinaria del Rito romano. Comè noto, i monaci di Norcia hanno in cura la Basilica di San Benedetto, il cuore di Norcia, nonché il luogo che ha dato i natali ai santi Benedetto e Scolastica. In conseguenza dei recenti e tragici avvenimenti del terremoto che ha colpito duramente anche la città di Norcia, il bisogno urgente di restaurare la basilica e ricostruire la vita monastica è fra le preoccupazioni maggiori del Monastero San Benedetto di Norcia: a tal proposito, invitiamo i lettori di Romualdica a fare una donazione. Negli ultimi anni i monaci di Norcia hanno realizzato un pregevole calendario, comprensivo delle ricorrenze della forma extraordinaria del Rito romano, nonché del novus ordo. In ragione delle difficoltà insorte con il terremoto, il calendario del 2017 è ora pronto e disponibile, ma solo in formato pdf, scaricabile gratuitamente attraverso questo link.

Fai discendere sulla tua Chiesa, o Signore, lo spirito che animò il Nostro Santo Padre Benedetto, affinché, riempiti di questo spirito, possiamo imparare ad amare ciò che lui ha amato e a professare ciò che lui ha insegnato.

giovedì 8 dicembre 2016

Conferenza del cardinale Robert Sarah sulla liturgia

Dal 5 all’8 luglio 2016 si è svolta a Londra l’edizione annuale del Convegno internazionale Sacra Liturgia 2016, nel corso del quale S. Em. il card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ha tenuto una conferenza dal titolo “Towards an Authentic Implementation of Sacrosanctum Concilium” (“Verso un’autentica attuazione di Sacrosanctum Concilium”), che ha avuto ampia risonanza mondiale. La rivista Cristianità, organo ufficiale di Alleanza Cattolica, ha avuto il privilegio di ottenere l’autorizzazione di pubblicare la traduzione italiana dell’allocuzione del card. Sarah, che sarà inclusa nel numero 382 della rivista (ottobre-dicembre 2016, pp. 21-40), in uscita nei prossimi giorni (per ordini, abbonamenti e informazioni scrivere allindirizzo: abbonamenti.cristianita@alleanzacattolica.org). Con il permesso della direzione della rivista Cristianità, siamo lieti di offrire qui di seguito, in anteprima per i lettori di Romualdica, il testo integrale della conferenza del card. Sarah, in formato pdf.


sabato 3 dicembre 2016

Avvento con “L’oblato” di Huysmans

È che si gela qui dentro, mormorava Durtal; che il mio uomo abbia dimenticato l’appuntamento? Un trascinare di scarpe in corridoio lo rassicurò.
«Sono in ritardo», disse il religioso, «ma abbiamo appena finito di buttar giù in refettorio, secondo la tradizione, una tazza di vin brulé per scaldare il sangue, perché staremo in piedi a cantare fino all’aurora. È pronto?».
«Sì, padre», rispose Durtal che si mise sull’inginocchiatoio e si confessò. Dopo avergli domandato l’assoluzione, con pacatezza, con calma, parlando come a una conferenza ai suoi novizi, dom Felletin trattò di quell’Avvento che era morto e di questa festa di Natale che stava per nascere.
Durtal si era seduto e lo ascoltava.
«Sono terminate queste quattro settimane», diceva, «che rappresentano i quattromila anni che sono trascorsi prima della venuta di Cristo. Il primo giorno dell’anno civile, il primo gennaio del calendario gregoriano, è per il mondo un motivo di allegria; per noi, il giorno dell’anno liturgico, che è la prima domenica d’Avvento, è stato un argomento penoso. L’Avvento, simbolo d’Israele che invocava la venuta del Messia macerandosi e digiunando sotto la cenere, è, in effetti, un tempo di penitenza e di lutto. Non si canta il Gloria, non si suona l’organo nei giorni feriali, non si dice Ita missa est, non si canta il Te Deum nell’Ufficio notturno; abbiamo adottato come segno di tristezza il violetto e, come segno ancor più energico d’inquietudine e di ansia in certe diocesi, come in quella di Beauvais, inalberavano ornamenti color cenere; anche in altre, quelle di Le Mans, di Tours, le chiese del Delfinato, rincaravano ancora sul senso dei colori smorti, vestendosi con la tinta del trapasso, di nero.
La liturgia di quest’epoca è splendida. Allo sconforto delle anime che piangono i loro peccati, si mescolano i clamori eccitati e gli urrà dei Profeti che annunciano che il perdono è vicino; le Messe delle Quattro Tempora, le grandi “antifone O”, l’inno dei Vespri, il Rorate coeli della Salvezza, il responsorio del Mattutino della prima domenica, possono essere considerati tra i più preziosi gioielli del Tesoro dell’Ufficio; solo gli scrigni della Quaresima e della Passione contengono dell’oreficeria così perfetta; eccoli ora riposti nei loro cassetti, per un anno. La gioia degli auguri esauditi succede alle ansie delle scadenze; e tuttavia non tutto è finito, perché l’Avvento si riferisce non solo alla Natività di Cristo, ma anche al suo ultimo Avvento, cioè a questa fine del mondo quando verrà, come si professa nel Credo, a giudicare i vivi e i morti. È necessario perciò non dimenticare questo punto di vista e innestare sulla gioia rassicurante del Nuovo Nato, il salutare timore del Giudice.
L’Avvento è, dunque, sia il Passato che il Futuro; ed è anche, in un certo modo, il Presente; perché questa stagione liturgica è la sola che debba sussistere immutabile in noi; le altre scompaiono con il succedersi del tempo. Lo stesso anno termina, ma senza che l’universo scompaia in un definitivo cataclisma; e di generazione in generazione, ci trasmettiamo l’angoscia; dobbiamo sempre vivere in un eterno Avvento perché, aspettando la suprema fine del mondo, avrà il suo compimento in ciascuno di noi con la morte.
La stessa natura ha il compito di simbolizzare la cura di questa stagione che abbiamo vissuto; il decrescere dei giorni era come l’emblema delle nostre impazienze e dei nostri rimpianti; ma i giorni si allungano dal momento che il Signore nasce; il Sole di Giustizia dissipa le tenebre; è il solstizio d’inverno e sembra che la terra, liberata da persistenti tenebre, gioisca.
Dobbiamo dunque, come lei, dimenticare per qualche ora l’opprimente pensiero dei castighi, pensare solo a quest’avvenimento inesprimibile di un Dio divenuto bambino per riscattarci...
Mio caro amico, ha preparato bene il suo Ufficio, vero? Ha già letto le stupende antifone del Mattutino; mi intratteneva poco fa su queste, durante la confessione, sulle sue ansie e le sue distrazioni durante il canto della salmodia; si lamenta del dolore che prova nel vedersi così tanto impregnato di atmosfera mondana; si domanda se la routine non annichilisca l’efficacia delle sue preghiere? Lei cerca allora sempre il pelo nell’uovo con sé stesso! Ma, vediamo, la conosco abbastanza bene per sapere che questa notte lei trasalirà di piacere, solo ascoltando lo stupendo Invitatorio dell’Ufficio. Ha dunque bisogno di insistere su ogni parola, di soppesare qualsiasi risposta? Non sente la presenza di Dio, in questo entusiasmo che non ha niente da spartire con la discussione e l’analisi? Ah! Non è semplice con Lui! Lei ama più di chiunque altro la prosa ispirata delle Ore e vuole convincersi di non amarli abbastanza. È folle! Finirà, con così tanti dubbi, per compromettere ogni slancio; e stia attento perché la malattia dello scrupolo, di cui ha tanto sofferto alla Trappa, ritorna!
Allora faccia il bravo con sé stesso e sia meno pignolo con Dio! Non esige che lei smonti, come gli ingranaggi di un orologio, gli argomenti delle sue preghiere e ne sminuzzi la comprensione quando comincia a formularle. Le domanda solo di recitarle. Ecco un esempio: scegliamo una santa della quale non potrà discutere l’autorità, santa Teresa; non conosceva il latino e non si augurava che le sue figlie lo imparassero; e tuttavia le carmelitane sanno salmodiare l’Ufficio in questa lingua. Secondo la minuzia delle sue congetture, pregherebbero male, allora! La verità è che sanno che, facendo così, cantano le lodi al Signore e lo implorano per quelli che non lo adorano affatto e questo è sufficiente; riempiono di questi pensieri queste parole di cui esse non conoscono in modo preciso il senso e che tuttavia rendono i loro desideri in maniera assoluta; ricordano a Gesù le sue promesse e i suoi rimproveri. Le loro preghiere Gli presentano, se posso dire, un trattato che segnò con il suo sangue e che non può lasciar inesaudito; forse non siamo infatti creditori di certe promesse dei suoi Vangeli?».
«Solo... solo...» continuò il monaco, dopo un silenzio, come parlando a sé stesso, «queste promesse dovute all’immensità del suo amore esigono, perché si realizzino, che ritorniamo a Lui una giusta misura – tuttavia calcolata col nostro metro – giacché, che misera ripercussione dell’infinito ci portiamo in noi stessi! Questo povero amore, non si ottiene che attraverso la sofferenza. Bisogna soffrire per amare e soffrire ancora quando si ama!
Ma dimentichiamo tutto questo: non veliamo la gioia di queste poche ore: ritorniamo a noi, pensiamo subito a questa incomparabile veglia, a questo Natale che ha fatto piangere di tenerezza in tutte le epoche. I Vangeli sono brevi; ci relazionano gli avvenimenti senza riflettere sui dettagli; non c’è posto all’ostello e questo è tutto. Ma che meravigliosa forma di liturgia si è creata attorno a questo nodo che sembrava così arido! L’Antico Testamento è venuto a completare il Nuovo; è il contrario di ciò che succede di solito; contrariamente a tutti i precedenti sono i testi anteriori che completano quelli che seguono; il bue, l’asino, non è a san Luca, ma a Isaia che li dobbiamo; sono da sempre acquisiti nell’O gran mistero, uno dei più bei responsori del secondo notturno di questa notte.
Ah! La radiosa bellezza della teofania! Quando Gesù è appena nato e non può ancora parlare, simbolizza in modo immediato, con un’azione materiale, gli insegnamenti che proclamerà così chiaramente più tardi. La sua prima cura è di mettere in pratica e di confermare con un esempio il canto che glorifica sua Madre, l’exaltavit humiles del Magnificat!
La sua prima riflessione è un pensiero di deferenza verso di Lei. Vuol giustificare davanti a tutti il grido di vittoria della Vergine e in effetti attesta nello stesso tempo che i piccoli sono i suoi preferiti e che devono stare davanti a Lui prima dei potenti. Certifica che i ricchi avranno più difficoltà dei poveri a essere ammessi alla sua presenza e lo fa capire imponendo un lungo viaggio a questi sovrani e a questi sapienti, i Magi, dispensando da queste fatiche e pericoli i pastori che invita per i primi ad adorarlo e rialza la gerarchia degli umili, delegando per condurli davanti a Lui, non più la luce silenziosa di una stella, ma una truppa estasiata di angeli!
E la Chiesa si conforma ai disegni del Figlio. In questa notte di Natale, i Magi si manifestano solo tra le quinte e non se ne parlerà neppure, invero avranno un Ufficio esclusivamente loro solo per la festa dell’Epifania. Oggi, tutto è per i pastori.
Aggiungiamo inoltre che Maria ha sempre confermato questa intenzione perché nelle sue più note apparizioni, Lei si è sempre indirizzata a dei guardiani di greggi, non a dei sapienti, a dei monarchi o a delle donne ricche».
«Senza dubbio, padre», disse Durtal, «tuttavia mi permetta un’osservazione. La lezione d’umiltà che mi ha ricordato appena adesso è stata un po’ persa. Il Medioevo che ha inventato tante leggende sui re Magi, non ne ha mai immaginata una sola per i poveri pastori; le reliquie dei magi, promossi al rango di santi, sono ancora venerate a Colonia e nessuno si è mai occupato di sapere ciò che era stato dei resti modesti dei pastori, né si è domandato se fossero, anche loro, dei santi!».
«È vero», disse sorridendo il monaco. «Cosa vuole, l’umanità ama alla follia il mistero; i Magi erano così enigmatici, così strani che tutto il Medioevo ha sognato di questi potenti che rappresentavano, per esso, il culmine della ricchezza e l’apogeo della potenza; e ha dimenticato i buoni che vedeva tutti i giorni. È il vecchio adagio, i primi davanti a Dio sono gli ultimi davanti agli uomini.
Vada in pace, faccia la comunione, mio caro, e preghi per me».

[Joris-Karl Huysmans (1848-1907), L’oblato, trad. it., D’Ettoris Editori, Crotone 2016, pp. 180-184]