domenica 23 gennaio 2011

Una vita impregnata di Scrittura e di liturgia / prima parte


Tutta l’armoniosa struttura dell’osservanza alla Regola, la vita monastica che abbiamo descritto, il semplice ciclo di preghiera, lavoro e lettura, la vita del cenobita nel chiostro, lungi dalle attività del mondo, vicino alla natura e con Dio in solitudine, tutto ciò era impregnato di Scrittura e di liturgia. La liturgia infatti elevava e trasformava ogni elemento dell’esistenza del monaco, penetrava in ogni recesso del monastero, incorporava ogni attività del monaco in un tutto vitale e organico, ricco di significato spirituale. Il monaco viveva, sì, con il sole, la luna, le stagioni; ma tutta la natura era elevata e resa sacra dalla liturgia, la quale sommava in sé ogni atto e ogni esperienza del monaco, ordinando ogni cosa e offrendola a Dio.
Forse, a prima vista, la cosa può sembrare complicata, mentre era in realtà semplicissima. La liturgia, lungi dal complicare la vita con funzioni ritualistiche, era stata purificata dai cistercensi e ridotta alla sua essenza primitiva, e riaveva quindi la funzione già avuta all’epoca in cui san Benedetto aveva redatto la sua Regola. Non c’era nulla di più semplice e allo stesso tempo di più ricco della liturgia della primitiva Cîteaux dove, tolti gli elementi contrastanti, il ciclo temporale dell’anno ecclesiastico dominava ogni altra cosa.
In altre parole, i cistercensi seguivano realmente la liturgia delle stagioni fondamentali – Avvento, Natale, Settuagesima, Quaresima, Pasqua e periodo post-pentecostale – in tutta la sua sapienza. Le grandi lezioni insegnate dalla Chiesa in ogni Notturno e in ogni Messa potevano così penetrare nel sangue e nel midollo dell’esistenza del monaco. Nell’Avvento egli viveva e respirava virtualmente Isaia. Le parole, che egli conosceva a memoria, risuonavano di continuo nella sua mente, echeggiavano in ogni aspetto particolare del paesaggio, del tempo e della stagione, tanto che, quando sopravveniva dicembre, i campi stessi e i boschi nudi cominciavano a cantare il Conditor alme siderum e i grandi responsori degli uffici notturni. Durante le nevi di gennaio, le trionfanti antifone del Natale o i responsori misteriosamente belli dell’Epifania seguivano il monaco nei boschi spogli. Poi l’ufficio Domine ne in ira cominciava a echeggiare nella sua mente e a prepararlo all’austero e cupo ciclo di uffici della Settuagesima alla Domenica di Passione e alla Settimana Santa, in un continuo crescendo di tristezza e di dramma, fino all’angosciosa catarsi finale del Venerdì Santo.
Poi, d’un tratto, la gioia fremente della liturgia pasquale, la sua incomparabile lievità, il suo senso di sollievo e di trionfo, accompagnavano il monaco in primavera e le gemme dei boschi, i canti degli uccelli, il profumo dei fiori, le prime spighe verdi del raccolto imminente riempivano l’atmosfera di silenziosi alleluia fino a che, con l’Ascensione, si giungeva a un altro culmine di fiducia, di appagamento e di pace. Poi Pentecoste dava alla vita interiore del monaco una direzione, ed egli entrava nell’estate e in una lunga serie di domeniche le quali parlavano in poesia e in musica, di ogni fase della vita pubblica e dell’insegnamento di Cristo, mentre, negli uffici notturni egli cantava i Libri dei Re. In agosto apriva il libro dei Proverbi, in settembre quelli di Giobbe e di Tobia, in ottobre quello dei Maccabei, in novembre quelli di Ezechiele e di Daniele.
Il ciclo liturgico portava il monaco attraverso tutta la Scrittura, tutto il Vecchio e il Nuovo Testamento, con i commenti e le spiegazioni dei più grandi padri, e tutto veniva cantato, pregato, assorbito e letteralmente vissuto. L’atteggiamento dei cistercensi a questo proposito appare tanto più chiaro se pensiamo che i libri della Bibbia recitati in chiesa erano letti contemporaneamente per intero nel refettorio durante la medesima stagione.
Così il monaco non solo viveva nella natura fra le gioie e le bellezze dei boschi e delle montagne, ma tutta la sua esistenza era immersa in perfetta musica e poesia, e la sua mente era piena di storie e d’immagini, di simboli e di quadri affascinanti. Egli si muoveva e respirava nel mondo spirituale dei profeti e dei patriarchi. Era intimo con Gedeone e Giosuè, con Mosè e Aron, con Elia e Geremia. Si lamentava con Giobbe e lodava Dio con Daniele e vedeva i cieli spalancarsi nelle ampie, brillanti teofanie di Isaia e di Ezechiele.

[Dom M. Louis (Thomas) Merton O.C.S.O. (1915-1968), Le acque di Siloe, trad. it., Garzanti, Milano 2001, pp. 356-358]

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