sabato 13 novembre 2010

Un certo gusto del Cielo / ultima parte

Vedo sorgere un'obiezione: è possibile ritrovare questo desiderio del Cielo al di là di una fantasticheria che non esprime più la nostra sensibilità? Rispondo di sì, certamente. Bisogna tradurre altrimenti la nostra sete di vita eterna. Il vuoto del nostro tempo offre per così dire un'immagine sbiadita, un appello alla pienezza. Forse è una grazia per la nostra epoca, per altri versi così disgraziata, quella di non avere più immagini per esprimere l'eternità. Questa spoliazione può essere salutare nella misura in cui costringe l'anima a entrare nelle profondità della fede: quando il disgusto delle creature si accompagna a una certa intensità di desiderio, l'anima accede al piano dell'unione mistica, nel quale san Giovanni della Croce ci dice che non vi è più sentiero: e sulla montagna nulla!
Perciò è la fede, ancora e sempre, il solo mezzo di accesso al divino. Desiderare il cielo sarà il frutto di un atto di fede nella bontà e sapienza infinita di Dio: potrei forse - senza correre il rischio di risultare blasfemo - pensare che la promessa fatta da Gesù in croce al buon ladrone, non sarà la risposta alla mia sete di felicità, di verità e di pienezza? Dio che mi ama infinitamente non mi propone nulla di meno che di entrare in partecipazione alla sua propria beatitudine. Signore, ciò che mi promettete non è forse ciò di meglio che vi sia per me? Mi è cosa deliziosa avere confidenza nel Padre; di avere in lui una confidenza senza limiti in cui la paura dell'ignoto svanisce come accade alla paura del bambino, una volta che la madre lo stringe fra le sue braccia. È la fede a fare amare e desiderare il Cielo.
« - Cosa domandate alla Chiesa di Dio?
- La fede.
- Cosa vi dona la fede?
- La vita eterna».
«Se ti faccio frustare e decapitare - chiede ironicamente il prefetto Rustico a san Giustino (martire del secolo II) - pensi che salirai in Cielo?
- Non lo penso, lo so».
Più vicino a noi, durante la persecuzione dei cristeros in Messico, i carnefici tagliarono la lingua del piccolo Valencia Gallardo perché esortava alla fedeltà i suoi compagni, prigionieri come lui. Ma il giovinetto trovò la forza di sorridere e continuò la sua esortazione, puntando il dito al Cielo.
Per venire al quotidiano, ogni giorno apprendiamo che una persona di nostra conoscenza muore, e sentiamo dire: «Che grande sventura!». Ma la fede c'insegna che la morte è una liberazione e la dipartita dell'anima un giorno natale. Dies natalis, tale era il titolo nobiliare che i primi cristiani davano a «sora nostra Morte corporale»: si respirava l'aria di Dio, la terra aveva un gusto di Cielo. Ancora oggi, quante volte abbiamo sentito dire a una madre cristiana in preda a un lutto terribile: «Noi non arriviamo a comprendere, ma gli atei, come fanno a sopportarlo?».
Da tutto quanto precede si può dedurre il ruolo propriamente assiale che svolgono il desiderio e il pensiero del Cielo nella vita cristiana: questo riferimento dolce, ostinato, inestirpabile è per il cristiano una fonte di luce nelle ombre incerte della vita terrena; fonte di forza nelle tentazioni - solo l'attrattiva dei beni celesti potendo controbilanciare la fascinazione delle creature -, fonte di pazienza davanti al dolore senza fondo; fonte di gioia e di conforto nei momenti di scoraggiamento, quando l'uomo frantumato vacilla sull'orlo della disperazione. Vi è anche un aspetto dilettevole della speranza poiché, ci dice san Tommaso, se vi è diletto nella conoscenza in quanto il conosciuto è presente nel conoscente, vi è diletto della speranza in quanto colui che ama e spera si porta in spirito nell'anima: Amans est in amato.
L'aspettativa della speranza diventa trasporto d'amore e si compie nell'esultazione. Così canta san Giovanni della Croce: «Miei sono i cieli, mia è la terra, mia è la Madre di Dio...».

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Un certain goût du ciel, in Itinéraires, n. 287, novembre 1984, poi in Benedictus. Ecrits Spirituels. Tome I, Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2009, pp. 375-385 (qui pp. 383-385), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 3 / fine]

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